Oggi l’icona è fra le anticaglie in magazzino, ma solo ieri Josè Luis Zapatero era un personaggio che la sinistra italiana, sempre a corto di modelli, si mangiava con gli occhi. I nostri leader dopo essersi innamorati di Clinton - ricordate la bufala dell’Ulivo mondiale? - poi inguaiato da una svelta stagista, dopo aver osannato il subcomdandante Marcos, disperso da qualche parte nella selva messicana, aver srotolato vergognosamente il red carpet a Chavez, accolto a Venezia come nemmeno Sharon Stone, si erano messi in coda per ricevere la benedizione di Zapatero. Il papa laico di un’epoca costruita sull’ottimismo, sul progresso generalizzato, su un’adrenalinica voglia di vivere. E lo zapaterismo era stato eletto a sintesi irrinunciabile dei lati buoni della vita. Un delirio collettivo, cementato dai successi sportivi: la doppietta europei mondiali delle Furie rosse, la Champions del Barcellona, le imprese con la racchetta di Nadal. Un’epoca che ora si chiude ufficialmente con le parole dello stesso Zapatero: «L’anno prossimo me ne vado, non mi ricandiderò». Fine della standing ovation. Ormai zittita da salve di fischi.
A Roma - era il 2005 - sfilavano i carri colorati del Gay Pride - e i “carristi“ alzavano orgogliosi un cartello che era un atto di venerazione: «Zapatero santo subito». L’avanzata e democratica Spagna aveva riconosciuto i matrimoni per le coppie gay e aveva dato loro pure il permesso di adozione, insomma di farsi una famiglia con due padri e zero madri o viceversa. Vuoi mettere? Come era avanti la Spagna, che solo agli inizi degli anni Settanta era ancora impigliata nel franchismo. Dal franchismo allo zapaterismo e noi, invece, costretti a vivacchiare nella palude del cerchiobottismo.
Il noesegretario del Pd Walter Veltroni incollava la figurina di Zapatero nel suo album, che si apre con l’immagine di John Kennedy. «La morte di Kennedy - raccontava disperato Veltroni - è il sogno spezzato di un’intera generazione». A quel sogno proprio Zapatero aveva ridato le ali. E Veltroni lo incontrava entusiasta come un bambino, megnetizzato dall’«effervescente» economia spagnola. I giornali sottolineavano senza ironia che il faccia a faccia Zapatero Veltroni si era protratto per 80 minuti, quasi lo stesso tempo del rendez vous Clinton Zapatero. Qualche mese dopo, nel 2008, Uolter celebrava con toni lirici l’amico: «La vostra vittoria rafforza l’ampio fronte delle forze chiamate a fare dell’Unione europea un protagonista per un mondo più giusto, società più eque, per uno sviluppo sociale e civile che ampli i diritti di cittadinanza». Certo, così diluita, con i colori dell’ecumenismo buonista veltroniano, l’icona era buona per tutte le stagioni, per tutti i climi e per tutti i gusti, ma era pur sempre una delle più acclamate nel foltissimo e un po’ confuso pantheon veltroniano. Non pago, il segretario del Pd piazzava sul piedistallo del mito una didascalia strepitosa: «Lo descrivono come l’Anticristo ma è l’uomo più mite del mondo». Dolce come uno zuccherino.
Sì, era tutto un girotondo intorno a Zapatero e un inno allo zapaterismo, arca di tutti i luoghi comuni e i dogmi del politicamente corretto. Sabina Guzzanti girava un documentario eloquente fin dal titolo: «Viva Zapatero!». Con tanto di punto esclamativo. E Maurizio Crozza inseguiva col retino della sua satira il genio spagnolo: «Zapatero Zapatero/l’un per cento del tu carisma me serve aqui!!!». Con una fila indiana di punti esclamativi. Gli stessi festosamente lanciati come coriandoli dai guru del sindacato. «Altro che Prodi. Viva Zapatero», cantavano in coro Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. «Lui sì che è un riformista vero - si sgolava Bonanni dopo aver applaudito il premier spagnolo a Siviglia - non come i nostri che usurpano quella parola per altri interessi e che vogliono tagliare i diritti sociali». «Zapatero - gli faceva rima Epifani - ci spiega come una crescita sostenuta, i diritti di cittadinanza e l’inclusione sociale siano la chiave dello sviluppo: mentre il governo italiano è in mezzo al guado». Sappiamo com’è finita. Con la crisi che morde ai polpacci la classe media, con un deficit incontenibile, che ha costretto il governo a varare una manovra di lacrime e sangue.
Con una disoccupazione record passata dal 9,6 per cento del marzo 2008 al 20,5 del marzo 2010. E con lo sciopero generale e i cortei senza orizzonte dei cattolici. Il miracolo è svanito: l’aureola finirà in testa a qualcun altro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.