Ha il tono di un giallo moderno eppure è nato nel 1896 (era la fine di dicembre quando venne pubblicato a puntate sul «Corriere della sera»), cioè parecchi decenni prima dell'esplosione del genere poliziesco nella letteratura italiana contemporanea. «Spasimo» è uno dei titoli ingiustamente più trascurati della produzione di Federico De Roberto (1861-1927) più noto per essere l'autore dei «Viceré» e dell'«Illusione» che ne hanno fatto con Verga e Capuana uno dei padri del Verismo. «Spasimo» (Donzelli, pp. 200, 22 euro) tuttavia esce oggi in una nuova edizione a distanza di cinquant'anni dalla sua ultima pubblicazione e costituisce per il grande pubblico una autentica novità, pur non essendolo di fatto. La trama si regge su un'indagine indiziaria attorno a una caso scabroso: la morte della contessa D'Arda trovata assassinata per un colpo di rivoltella alla tempia nella sua camera da letto.
Del delitto è incaricato un magistrato di lungo corso, Francesco Ferpierre, preso da un'ansia investigativa che lo porta ad affidarsi al proprio intuito in mancanza di indizi inoppugnabili che gli consentano di ricostruire la dinamica del giallo. Saranno il suo sguardo inquisitore, i suoi dubbi e i suoi espedienti al limite di quanto consente il codice ad aiutarlo a mettere insieme pezzo per pezzo il mosaico che sta dietro la morte violenta della contessa, in un affresco che tiene conto dell'afflato rivoluzionario mescolato alla positivistica certezza della ragione e al richiamo della fede in un Dio pietoso. Non manca tuttavia un finale a sorpresa che seduce il lettore e non gli offre una soluzione scontata con il rischio di lasciarlo amaramente alle prese con una trattazione didascalica e scontata.
De Roberto si serve di una lingua capace di assecondare ogni sfumatura ed è capace di adeguarsi a un ritmo molto attuale che non stanca il lettore ma anzi ne cattura l'attenzione e l'apprezzamento.
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