Era una prima nazionale, quella di sabato sera al Carlo Felice: «Tea, a mirror of soul» di Tan Dun, dopo il debutto a Tokyo del 2002, non ha battuto poi molti palcoscenici prima di approdare a Genova. Scelta coraggiosa (della nostra passata direzione artistica) che - neanche a dirlo - non è stata premiata dalla curiosità del pubblico, che ha preferito stare a casa.
Pochi ma buoni: perché dalla platea semivuota, accanto magari a perplessità, l'entusiasmo c'è stato. Meno male, l'opera comunque lo meritava: tripudio di percussioni, slanci lirici «all'italiana» ed effetti speciali (magari questi alla lunga un po' scontati) gli ingredienti di un inconsueto impasto sonoro dall'acceso sapore timbrico da gustare con calma e magari con un briciolo di conoscenza di filosofia orientale.
Peccato che mancasse la scena ad illustrare le ritualità tipiche, naturale completamento del tutto, e magari un aiuto in più a chi è completamente digiuno in materia di Tai chi, Yin e Yang.
Ottima la direzione di Lawrence Renes, chiara ed appassionata, splendide le tre percussioniste alle prese con l'acqua, la carta, le pietre e soprattutto la ceramica, che ha creato una suggestione particolare. In generale lo spartito è risultato al servizio del testo e delle voci, quindi piuttosto leggero e non particolarmente complesso, a sottolineare la profondità del messaggio filosofico e la drammaticità della storia: molto intensa la parte centrale, l'atto dedicato alla fitta simbologia dell'eros, più concitato il finale, tutto comunque interpretato dagli artisti con intensità e buona tecnica vocale.
Particolarmente complessa la parte dei due amanti, Lan (Nancy Allen Lundy) e Seikyo (Klemens Sander), che bene hanno reso il dramma dei personaggi, e buona prova anche per Lu (contralto Ning Liang), Principe (tenore Warren Mok) e Imperatore (basso Insung Sim).
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