Alfred Hitchcock. Ecco i romanzi che vissero due volte

Nasce una collana dedicata alle opere da cui il regista inglese trasse (riscrivendole) i suoi capolavori: non gli interessavano trama e personaggi, ma le emozioni pure

Alfred Hitchcock con Anna MAssey
Alfred Hitchcock con Anna MAssey

«Diffido della letteratura: da un buon libro non si ottiene necessariamente un buon film». È interessante che il grande Alfred Hitchcock confessasse pubblicamente di avere un rapporto guardingo nei confronti della letteratura. Eppure come ci ricorda il regista François Truffaut «l'opera del regista inglese è piena di adattamenti. Si tratta perlopiù di romanzi popolari o di intrattenimento che modificava a suo piacimento fino a farli diventare film di Hitchcock». Un'attività di reinterpretazione visiva della letteratura che Hitchcock iniziò fin dal suo primo film Il labirinto della passione del 1925. Saranno in tanti gli scrittori che approderanno con le loro opere alla corte del maestro del brivido, dalla britannica Daphne du Maurier di Rebecca, la prima moglie e Gli uccelli, ai francesi Pierre Bouleau e Thomas Narcejac che vedranno adattato il loro La donna che visse due volte fino all'americano Cornell Woolrich de La finestra sul cortile.

Spesso i rapporti fra Hitchcock e gli scrittori furono burrascosi: litigò furiosamente con Raymond Chandler che lavorò con lui come sceneggiatore; rifiutò a Ernest Hemingway l'adattamento di Per chi suona la campana e poi corteggiò lui e William Faulkner per realizzare Prigionieri dell'oceano; cacciò dal set Richard Matheson che per lui era un incompetente; per anni rischiò di essere schiaffeggiato da Patricia Highsmith per il contratto-fregatura che lei aveva siglato per Delitto per delitto... Ora la scelta della casa editrice Il Saggiatore di varare la collana «La letteratura secondo Hitchcock» con le opere sulle quasi mise mano il maestro della suspense permette di riaprire il dibattito sulla questione degli adattamenti e l'alto valore letterario di romanzi che non erano solo dei semplici canovacci di lavoro. I primi due titoli della serie, da poco in libreria, sono Psycho di Robert Bloch e Marnie di Winston Graham (l'anno prossimo uscirà Rebecca di Dapne Du Maurier, poi Caccia al ladro di David Dodge e The House of Dr Edwardes di Francis Beeding, da cui fu tratto il film Io ti salverò).

In entrambi i romanzi - Psycho, il capostipite delle serial killer stories e Marnie, un caposaldo del thriller psicologico - agli autori interessano, più che i crimini commessi da Norman Bates e Marnie, le loro turbe psicologiche, i traumi che hanno portato i protagonisti ad assumere diverse personalità. Bates è capace di vestire i panni di se stesso ma anche quelli di sua madre. Marnie, via via, nasconde il proprio passato dietro le identità fasulle di Mollie Jeffrey, Marion Holland, Mary Taylor. Bates è un ex ragazzino turbato da una madre oppressiva che ha sdoppiato se stesso. Marnie è una ex bambina sopravvissuta a terribili violenze che è divenuta una ladra bugiarda e compulsiva. Per il protagonista di Psycho il sesso è la scatenante degli omicidi. In Marnie la protagonista cerca di evitare qualsiasi contatto sessuale perché non vuole elaborare il suo tragico passato. Nonostante però il valore letterario di queste opere Alfred Hitchcock le scelse per reinventarne l'immaginario: «In Psycho del soggetto mi importa poco, dei personaggi anche. Quello che mi importa è che il montaggio, la fotografia, la colonna sonora e tutto ciò che è puramente tecnico possano far urlare il pubblico.

È una grande soddisfazione per noi utilizzare l'arte cinematografica per creare un'emozione di massa. E con Psycho ci siamo riusciti - disse Hitchcock - . Non è un messaggio che ha incuriosito il pubblico. Non è una grande interpretazione che lo ha sconvolto. Non è un romanzo molto apprezzato che l'ha avvinto. Quello che ha commosso il pubblico è stato il film puro».

Hitchcock sosteneva che era impossibile lavorare all'adattamento di certi romanzi con gli scrittori che li avevano ideati ma bisognava invece ricorrere ad autori provenienti dal mondo del teatro: «Si commette un errore affidando l'adattamento di un romanzo allo stesso autore: è ovvio che non conosce i principi del trattamento cinematografico. Invece l'autore drammatico otterrà risultati migliori... La sua esperienza di teatro gli ha insegnato a tener viva l'attenzione per due ore, senza interruzioni». Hitchcock si pentì amaramente di avere affidato l'adattamento di Marnie allo scrittore Evan Hunter (alias Ed McBain alias Salvatore Lombino) che aveva già lavorato per lui per la riscrittura di Uccelli. Quando infatti si trattò di mettere in scena la sequenza di stupro che la protagonista subisce nel romanzo, Hunter pensò che fosse troppo disturbante e che costringesse a una violenza eccessiva le spettatrici. Per questo decise di raccontarla fuori campo.

Hitchcock fu perentorio: «Ho letto il copione e trovo che ci sia ancora molto lavoro da fare». Dopodiché lo fece licenziare. Non ebbero mai occasione di reincontrarsi ma Hunter dovette ammettere «a me aveva dato fastidio proprio la scena che era la sua ragione per fare il film».

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