Cinque anni come se niente fosse. Franco Califano se ne è andato il 30 marzo 2013 (un giorno dopo Enzo Jannacci) ma per quasi tutti media sembra che non sia mai accaduto. Uno dei più grandi autori di canzoni della storia italiana subisce, anno dopo anno, il triste rituale dell'indifferenza. Anche ieri, nonostante l'anniversario «tondo», poche voci lo hanno celebrato ricordandone il ruolo centrale nella musica d'autore italiana, l'importanza che ha avuto nell'esplorare il lato più profondo, talvolta cupo e malinconico, talaltra perduto e vizioso, della passione d'amore, dell'attrazione che accende l'amore e poi spesso ne diventa vittima. Panorama, con la firma del bravo Gabriele Antonucci, gli ha riservato un ritratto puntuale. La Vita in diretta di Raiuno lo ha ricordato e radio Rtl 102.5 e Radio Zeta lo hanno celebrato trasmettendo i suoi brani capolavoro e qualche intervento in diretta di persone legate all'universo Califano. Ma, nel complesso, la ricorrenza è scivolata via quasi indolore, nonostante i brani e le parole di Califano siano tuttora ascoltate e ricordate da una quantità enorme di persone. Ed è persino inutile spiegarne il perché. Le canzoni del Califfo non hanno solo contribuito a costruire il ritratto culturale del «Prévert di Trastevere» o del «Belli dei nostri tempi» ma sono diventate punti di riferimento per tanti nuovi artisti che non smettono di citarlo e dimostrargli gratitudine. Eppure manca il segnale univoco di omaggio nei suoi confronti come invece c'è per tanti altri. Ieri l'autore e scrittore Lucio Palazzo ha lanciato la proposta di istituire dal prossimo Festival di Sanremo il «premio Franco Califano» per il testo che racconta meglio le donne.
Sarebbe un giusto modo di riconoscere al Califfo il ruolo che ha avuto nello sganciare la canzone popolare dai cliché e dal melodramma più formale. E anche, diciamola tutta, un omaggio a un artista senza compromessi che ha attraversato la vita mettendoci sempre la faccia.
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