"Da 5 Bloods - Come Fratelli", i commilitoni politicizzati di Spike Lee

Attraverso l'avventura tra passato e presente di quattro reduci del Vietnam, il regista accusa gli USA razzisti e profetizza le proteste dei giorni nostri, ripercorrendone la genesi storica

"Da 5 Bloods - Come Fratelli", i commilitoni politicizzati di Spike Lee

Per alcuni può essere scoraggiante l'idea di misurarsi con le oltre due ore e mezza di "Da 5 Bloods - Come fratelli", l'ultima opera di Spike Lee edita da Netflix, un film smaccatamente politico.

Ma guardarne l'incipit significa erudirsi sul tema delle rivolte violente che stanno divampando nelle strade americane molto più che ascoltando ore di dibattiti e approfondimenti televisivi o leggendo chissà quali ampollosi editoriali a riguardo.

I primi tre minuti scarsi sono un excursus di filmati d'archivio, di quelli che hanno fatto la storia, alcuni famosissimi, altri meno, ma tutti capaci di mandare emotivamente al tappeto. "Da 5 Blood - Come fratelli" si apre sulle note di "Inner City Blues", una delle canzoni di Marvin Gaye che fanno parte della colonna sonora, e con il folgorante rifiuto ad arruolarsi di Muhammad Ali. Seguono poi le immagini in cui Armstrong tocca il suolo lunare, le proteste contro Nixon, l'esecuzione di un prigioniero vietnamita, l'immagine di un monaco buddista che si dà fuoco, i pugni alzati di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi del Messico e così via.

Spike Lee intercetta da sempre l’umore della sua comunità, quella afro-americana, e mai come stavolta in maniera profetica racconta di cicatrici che, imputridite anziché sanate, tornano a sanguinare. Il film, non a caso, si chiude con le immagini del movimento oggi protagonista della più grande rappresaglia contro il razzismo che si ricordi in anni recenti, quello il cui credo recita "Black Lives Matter".

La trama riguarda quattro veterani di colore sopravvissuti alla guerra in Vietnam: Otis (Clarke Peters), Eddie (Norm Lewis), Melvin (Isiah Whitlock Jr.) e Paul (Delroy Lindo). Dopo quasi cinquant'anni, ritornano laggiù, nella giungla, ufficialmente per recuperare i resti del loro caposquadra caduto in battaglia, Stormin 'Norman (Chadwick Boseman), con cui formavano i "5 Bloods", fratelli non di sangue ma d'ideali. In verità hanno anche intenzione di ritrovare un tesoro di lingotti d'oro, da loro seppellito durante il conflitto, e di spartirselo come risarcimento per tutti i neri morti servendo un Paese che li ha "strappati dall’Africa e resi prima schiavi e poi soldati, dal Vietnam all’Iraq". "Gli Stati Uniti ce lo devono, li abbiamo costruiti noi" si convincono, ma presto inizieranno dissidi interni al gruppo e il denaro farà gola anche ad altri.

Il racconto è continuamente intervallato da cenni storici, tra cui l'uccisione di Martin Luther King e brevi riferimenti biografici a figure di spicco della storia dei neri d'America. Due linee temporali, il presente e il 1970, si danno continuamente il cambio e si distinguono l'una dall'altra per il diverso formato dello schermo. Gli attori restano invece gli stessi anche nella versione giovane dei personaggi. Una scelta antitetica a quella compiuta da Scorsese con "The Irishman" (milioni di dollari spesi in computer grafica per ringiovanire gli attori) e che sembra avere un significato preciso, legato alla condizione psicologica dei protagonisti: è il modo di evidenziare come, pur essendo trascorso così tanto tempo, non se ne siano mai davvero andati dal loro ex campo di battaglia.

Nella seconda parte del film la fratellanza lascia il posto a una guerra tra poveri e a uno scontro tra culture. Ognuno rivendica qualcosa incolpando di passate atrocità qualcun altro.

Che il casus belli nel presente sia l'avidità o il desiderio di vendetta, fa saltare equilibri che erano solo di facciata. Invero, siamo di fronte a individui i cui sbandierati valori sono compromessi dall'interno: in qualcuno a causa di un mostro chiamato disturbo post-traumatico, in altri dalla devozione a Mammona.

Convincente o respingente che sia per lo spettatore, "Da 5 Bloods - Come fratelli" è senza dubbio estremamente attuale. I quattro amici fraterni rappresentano le diverse posizioni che un afroamericano può prendere nei confronti di un Paese in cui i conflitti razziali non sono mai andati fuori moda. Tra loro c'è anche chi ha votato Trump, ma la percezione che li accomuna è che le cose, socialmente e politicamente, non siano mai davvero cambiate.

Il debito degli USA verso la comunità nera è ribadito più volte come un dato di fatto, citando ad esempio che il 32% dei soldati in Vietnam fosse nero nonostante la popolazione americana di colore fosse solo l'11% del totale.

Il film è molto didascalico e Spike Lee fa poco o nulla per nascondere che la vicenda di finzione raccontata sia funzionale allo sciorinamento di una sequela di riferimenti culturali fondamentali del black power.

Non siamo in un vero film di guerra, anche se ci sono uccisioni, esplosioni di mine, tradimenti e citazioni (anche ironiche) di Apocalypse Now.

"Da 5 Bloods" è molto altro: una meditazione sullo sfruttamento dell'essere umano e sui danni irreparabili lasciati da certe esperienze, ma soprattutto un manifesto in cui un regista da sempre schierato ricorre a digressioni storiche di natura socio-politica per criticare gli Stati Uniti di oggi.

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