Cultura e Spettacoli

Addio all'attore malinconico che esaltò Wenders e Herzog

Madre italiana, padre svizzero, è diventato celebre grazie a «Il cielo sopra Berlino» e «La caduta» di Hitler

Pedro Armocida

Da Il cielo sopra a Berlino a quello sotto, al bunker de La caduta. Dall'angelo che, per amore, vuole tornare uomo nel capolavoro di Wim Wenders al suo diabolico negativo, quell'Adolf Hitler simbolo del male assoluto interpretato con inquietante adesione, un'immedesimazione più vera del vero, nel film di Oliver Hirschbiegel. Bruno Ganz è morto ieri a 77 anni nella sua Zurigo che gli aveva dato i natali il 22 marzo 1941. Il grande attore, madre italiana e padre svizzero, proprio per il ruolo di Hitler è diventato un volto molto noto nella Rete, per via dei meme e delle gif che riproducono - adattandolo a qualsiasi vicenda - il momento in cui il dittatore nazista, ormai alla fine del suo tempo, sbotta contro i suoi generali.

Curioso destino per uno degli attori che all'inizio della carriera, negli anni '60, non riusciva a sfondare al cinema dedicandosi così, anima e corpo, al teatro tanto che nel 1970 fonda con Peter Stein la famosa compagnia teatrale berlinese Schaubühne di ispirazione brechtiana. Poi, grazie al cosiddetto Nuovo cinema tedesco degli anni '70, con film come L'amico americano di Wim Wenders (1977) e, l'anno dopo, Nosferatu, il principe della notte di Werner Herzog, trova il suo posto nel cinema d'autore europeo.

Una delle sue caratteristiche peculiari è l'espressione tipica, naturalmente melanconica, che gli disegna e caratterizza il volto. Consentendogli così di essere chiamato, sempre più spesso, per ruoli introspettivi, tormentati e drammatici. Proprio come quelli in Il cielo sopra Berlino e Così lontano e così vicino sempre di Wim Wenders, regista con cui ha stretto il sodalizio artistico più fruttuoso. Ma è la varietà delle provenienze geografiche dei registi, una delle cifre più curiose della sua filmografia. Agli inizi degli anni '80 lavora in Italia con Giuseppe Bertolucci in Oggetti smarriti (1980) e l'anno dopo, nel ruolo di un aristocratico oppiomane, in La storia vera della Signora dalle camelie (1981) di Mauro Bolognini. Sempre con Giuseppe Bertolucci prende parte all'episodio La domenica specialmente non senza aver già lavorato nel nostro paese, nel 1988, in Un amore di donna di Nelo Risi accanto a Laura Morante.

Ha frequentato poco il suo cinema nazionale anche se Dans la ville blanche dello svizzero Alain Tanner, ma ambientato a Lisbona, rimane una delle sue prove più alte. In quegli anni intanto viaggia dalla Spagna di El río de oro (1986) di Jaime Chávarri alla Gran Bretagna di Spalle nude (1988) di David Hare all'Italia del primo film di Roberto Andò ambientato a Palermo, Diario senza date (1995), per arrivare in Grecia con L'eternità e un giorno (1998) di Theo Angelopoulos.

Nel 2000 arriva un ruolo meraviglioso, rimasto nella memoria collettiva e per il quale ha vinto il David di Donatello, quello di Fernando Girasoli, malinconico cameriere di un ristorante dimesso nel film di Silvio Soldini Pane e tulipani (2000) che parlava in quell'italiano tutto suo e molto forbito: «Mi duole contraddirla, signora, ma i cinesi sono i più grandi ristoratori del mondo».

Diventato ormai un volto riconosciuto internazionalmente ha preso parte nel nuovo millennio a decine di film lavorando con grandi come Jonathan Demme in The Manchurian Candidate (2004), Francis Ford Coppola in Un'altra giovinezza (2007), Ridley Scott in The Counselor - Il procuratore (2013) e Atom Egoyan in Remember (2015).

Recentemente ha interpretato Tiziano Terzani in La fine è il mio inizio di Jo Baier e il nonno di Heidi nel film di Alain Gsponer.

L'anno scorso l'abbiamo visto al cinema in The Party di Sally Potter, crogiolo di grandi attori, mentre il 28 febbraio uscirà uno dei suoi ultimi film, il violentissimo La casa di Jack di Lars von Trier, dove appare nei panni di un pensoso e, ancora una volta, melanconico Virgilio dantesco.

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