«Argo» sconfigge «Lincoln» La sorpresa è «Vita di Pi»

Un occhio al gatto, uno alla volpe. Gli Oscar 2013 vedono la politica di Washington entrare a gamba tesa nelle megaproduzioni a sfondo storico, insufflando agli studios controverse riletture del passato Usa anche recente. Però l'Academy non si dimentica mai dell'intrattenimento e degli incassi. E infatti guarda anche alla cinecultura globale, oltre gli steccati di Capitol Hill e verso le fiabe apolitiche come Vita di Pi.
Argo, l'intelligente thriller di e con Ben Affleck - così sicuro da ostentare umiltà verso il grande trombato nella notte delle stelle: «saluto Steven Spielberg, che è un genio» - porta a casa la statuetta di Miglior Film, oltre a quelle per la Migliore Sceneggiatura non originale e Miglior Montaggio. Così il verdetto accontenta l'ala leftist che detesta il coinvolgimento hollywoodita nei film di successo (Argo è film indipendente), ama i ruvidi Settanta e forse quella specie di Piazza Tahrir permanente messa in scena sotto forma di Iran anti-yankee. Tuttavia è Vita di Pi ad avere i numeri dalla sua. Con quattro statuette d'oro in tasca (regia, fotografia, effetti speciali e colonna sonora), il taiwanese di culto Ang Lee, nel 2005 primo asiatico oscarizzato con Brokeback Mountain, batte ai punti Ben Affleck e Steven Spielberg, che con 12 candidature gli stava davanti di un'incollatura.
Favorito da critica e pubblico, ma boicottato dalla giuria dell'Academy, lo Spieberg perduto per strada è una delle tante sorprese. Come quella di Jennifer Lawrence, Migliore Attrice come vedova depressa ne Il lato positivo (a 22 anni è la seconda star più giovane della categoria), al posto della agente Cia Jessica Chastain di Zero Dark Thirty, film respinto con perdita. Certo, Daniel Day-Lewis, che così intensamente incarna Lincoln nell'omonimo kolossal, risulta Miglior Attore Protagonista, stabilendo un record: nella storia dell'Academy è l'unico attore che ha vinto 3 volte nella stessa categoria (vedi box nella pagina accanto). Oltre al successo personale dell'inglese, Spielberg si consola con l'Oscar per la Migliore Scenografia rifilato al suo filmone presentato sotto Natale in tutti i luoghi della politica alta, Senato italiano compreso.
Invece Life of Pi ha fatto bingo: con i suoi 108,5 milioni di dollari d'incasso negli Usa e i notevoli 460 milioni altrove (90,8 milioni in Cina, 45,4 milioni in Inghilterra, 29,9 milioni in Russia e 19,8 milioni in Messico), la fiaba atemporale del ragazzo e della tigre, in balìa della natura nemica, centra il cuore del business basato sull'audience globale. Ed è Oscar al quadrato. Non a caso mister Lee qui collabora con uno sceneggiatore Usa, David Magee, un regista cileno, Claudio Miranda e un cantante lirico indiano, Bombay Jayashri: il mondo cambia in fretta e lo spirito americano vola nel cine-mainstream multiculturale. È lo schema di Slumdog Millionaire: nel 2008 il «milionario pezzente» di Mumbai fu una hit da 377 milioni di dollari nel mondo e Miglior Film agli Oscar, con la formula della fiaba a politica zero. Vita di Pi avrà un seguito, assicura la 20th Century Fox.
Intanto, festeggia Quentin Tarantino, il cui Django antischiavista (due Oscar) rispetta a stento i parametri dell'Academy: il suo film fa discutere, toccando un tema capitale a colpi di «pulp» abbastanza pop. Secondo molti critici era il film migliore in assoluto, perché insolito e innovativo. Ma onestamente era difficile pretendere di più, vista la giuria, e Tarantino infatti si è detto soddisfatto del premio alla sceneggiatura originale e di quello andato a Christoph Waltz, al suo secondo Oscar come Miglior Attore non Protagonista.
Kathryn Bigelow, col suo controverso Zero Dark Thirty, cronistoria della caccia a Bin Laden con crude scene di tortura, si ritira dall'agone con l'Oscar al Miglior Montaggio sonoro ex-aequo con Skyfall (categoria spioni?). Dopo la copertina su Time, un magro bottino che conferma le sensazioni negative della vigilia. E la piccola Europa, come esce dallo scontro tra titani? Con Amour, Miglior Film Straniero dell'austriaco Michael Haneke, starring i francesi Emanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant nella delicata storia d'amore e morte finale.

Ancora un Oscar nostalgia canaglia, come l'anno scorso col film muto The Artist, in salsa retrospettiva a base francese? Magari è così che ci vedono gli yankees: vecchi e morituri. Loro, invece, fanno storia e quattrini.

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