«Bentornata Cecilia!». Il grido di un solo fan sintetizza l'entusiasmo del pubblico intero. Il «ritorno a casa» della romana Cecilia Bartoli - la superstar planetaria della lirica, che venerdì scorso ha tenuto all'Accademia di Santa Cecilia di Roma, presso cui studiò e della quale è oggi membro, il solo concerto italiano della stagione - era davvero, e non per luogo comune, un evento da non perdere. Una platea di vip (tra cui l'ex presidente Napolitano), un programma-mozzafiato di musiche mozartiane, la prestigiosa bacchetta di Antonio Pappano. E poi lei: la mezzosoprano da dieci milioni di dischi venduti, osannata o denigrata, ma sempre ai vertici dell'attenzione generale. E venerdì si è avuta ulteriore conferma del perché: la tecnica prodigiosa, l'inimitabile bellezza del timbro, la trascinante comunicativa; tutto ha contribuito alla resa smagliante di pagine impervie come Exsultate, jubilate o il Parto, parto, ma tu ben mio dalla Clemenza di Tito; per non dire dell'intensità espressiva sfoderata col Ch'io mi scordi di te, o delle magiche, vellutate nuance esibite nel Laudate Dominum.
Prima in abiti maschili stile Settecento, allusione ai castrati per cui Mozart compose alcuni di questi brani, poi in sontuoso taffetà verde-smeraldo (le mise della Bartoli sono popolari e pirotecniche quasi quanto la sua voce), la diva non si è risparmiata e, a differenza di quanto accadde alla Scala quattro anni fa, ha mietuto solo deliranti ovazioni.
Inevitabile che l'altro protagonista del concerto, sir Antonio Pappano, pure impegnato in brani come il meraviglioso Ave Verum Corpus o il quarto movimento della sinfonia Jupiter, al cospetto di tanto genio finisse un po' in ombra. Ma con soddisfazione; almeno a giudicare dal suo commento: «Visto? Abbiamo fra noi la nuova santa Cecilia».
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