A tratti Mogol si ferma, riflette, soppesa le parole. Poi racconta. Piano, guardandoti sempre negli occhi. Gli piacciono gli aforismi, gli vengono per virtù innata e qualche volta li pubblica su Twitter. È l'autore italiano che vanta probabilmente un record mondiale: in più di mezzo secolo di carriera ben centodieci brani con la sua firma sono arrivati in cima alla classifica, a dimostrazione che lui è la vera Treccani della musica pop. Ora, trentacinque anni dopo la pubblicazione dell'ultimo disco con Lucio Battisti, Una giornata uggiosa («I discografici non volevano la parola “uggiosa” nel titolo perché non la conosceva nessuno, ora la conoscono tutti»), si è inventato i New Era, gruppo che nel proprio disco suona Battisti in chiave rock e ha debuttato dal vivo sabato scorso alla Fenice di Venezia: «Nonostante ben 400 emittenti dell'associazione europea Rea lo abbiano votato come miglior cd dell'anno, i grandi network italiani faticano ancora a trasmetterlo perché pensano sia un cd di cover. E invece non è così», spiega lui, accalorandosi come sempre quando parla della propria musica. Per un recordman che tra poco compirà 79 anni, è una strepitosa dimostrazione di passione.
Forse, caro Mogol, tutto dipende dal fatto che Battisti in versione rock può disorientare.
«Ma in realtà a lui piacevano i Led Zeppelin, Peter Gabriel, Alan Parsons. Lucio era molto “avanti” e lo è rimasto anche quando si è avvicinato a suoni elettronici. Non a caso McCartney conserva la collezione dei dischi di Battisti. Era entusiasta di Lucio e difatti il management americano dei Beatles gli propose un contratto».
E Battisti?
«Lo rifiutò».
Come avrebbe giudicato il disco dei New Era?
«Avrebbe approvato: non sono cover, sono rielaborazioni secondo lo spirito del tempo. E Battisti era uno straordinario cantante di attualità e le sue canzoni hanno valore culturale».
Andavate d'accordo?
«Mai stati diverbi, mai litigi. Il nostro cammino si è separato, ecco. Lui, quando voleva, era un guascone e scherzava molto su di sé, mostrando una umiltà incredibile. Non a caso, amava le critiche e non i complimenti. Se qualcuno aveva obiezioni, lo invitava a parlare: dimmi dimmi...».
Dicono fosse politicamente molto a destra. Sono quattro decenni che questa polemica va avanti.
«Lucio e io non abbiamo mai parlato di politica».
Lei sa quante polemiche abbia suscitato, tra l'altro, il verso «Planando sopra boschi di braccia tese» da La collina dei ciliegi del 1973.
«Ma quelle braccia erano a invocare, non certo a fare saluti fascisti. Io vengo da una famiglia antifascista. Quando chiesi a mio papà il vestito da balilla (Mogol è nato nel 1936 - ndr ) non me lo ha voluto prendere e, in cambio, mi ha comprato una bici. Altro che saluti romani».
Qual è stato il testo che ha scritto più velocemente?
«Sicuramente E penso a te , in poco più di un quarto d'ora, direi 18 minuti, seduto su di una 600 sull'autostrada Milano Como».
Perché si arrabbia (giustamente) quando lo definiscono paroliere?
«I parolieri sono soltanto quelli che inventano le parole crociate e giocano con le parole. Io non gioco con le parole. Le parole sono il mio mondo».
Quando ha visto per l'ultima volta Lucio Battisti?
«Era inverno, vicino a casa nostra. Ho attraversato il giardino, avevo appena finito di giocare a pallone. “Ciao Lucio come stai? Vado a fare la doccia”. “Sì va bene”. Da quel momento non l'ho più visto».
Neanche quando era molto malato?
«L'ho scoperto dai giornali. Allora gli ho scritto una lettera: “Caro Lucio, spero che sulle tue condizioni di salute i giornali esagerino. Ma se hai bisogno di me, io sono qui”. Andai all'ospedale a consegnai la lettera a una infermiera. Poi non ne seppi più nulla. Quando Marinella Venegoni rivelò questo particolare sulla Stampa , un medico confermò di aver consegnato personalmente la lettera a Lucio».
E Battisti come reagì?
«Si mise a piangere, sì il medico ha confermato che scoppiò teneramente a piangere».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.