Dee Dee Bridgewater è un'artista che ama le radici popolari americane, soprattutto quelle che coinvolgono la propria storia personale. Così, due anni fa, ha dedicato Dee Dee's Feathers alla città di New Orleans, dove vive e dove la leggenda vuole che sia nato il jazz, e oggi pubblica Memphis I'm Ready, un disco di soul e blues che è un omaggio alla città dove è cresciuta e ha sviluppato il suo stile. Il 24 e 25 aprile presenterà il suo nuovo repertorio - che comprende anche Don't Be Cruel di Elvis e Hound Dog, questa resa famosa da Elvis ma lanciata da Big Mama Thornton e The Thrill Is Gone - di B.B. King - al Blue Note di Milano.
Come è nato questo omaggio a Memphis?
«È un viaggio nel mio giardino musicale segreto. A Memphis sono arrivata all'età di 3 anni e ho tutti i miei ricordi più belli. Questa volta mi sono dedicata al blues e al soul ed ero molto nervosa perché temevo il giudizio del mio pubblico che è abituato al jazz».
Quindi?
«Quindi mi sono buttata e il risultato mi soddisfa davvero. E poi ho avuto degli ottimi riscontri: ho suonato persino in Oman e lì erano veramente entusiasti delle canzoni che ho proposto».
Milano sarà un nuovo banco di prova?
«Sì, non vedo l'ora di suonare al Blue Note. Il soul dal vivo ha veramente un altro spirito rispetto al disco. Vi farò vivere due serate emozionanti».
Quali sono le sue radici musicali a Memphis?
«A Memphis c'era la radio WDIA, la prima a trasmettere black music di tutti i generi. Io la ascoltavo di notte di nascosto e pensi - ironia della sorte - mio padre, che era insegnante di musica, faceva il disc jockey insieme a B.B. King e a Rufus Thomas. Si faceva chiamare Matt the Platter Cat ma io non lo sapevo».
Come non lo sapeva?
«Non lo riconoscevo. me l'ha detto due anni fa il grande Charles Lloyd, che è stato anche suo allievo. Papà non sapeva che io ascoltavo la musica proibita e io non sapevo che lui faceva il dj proprio alla WDIA».
Nell'album lei rende omaggio anche a Elvis Presley.
«Sì, è stato un personaggio affascinante, conturbante e non si può parlare di Memphis senza citarlo. In fondo la sua casa di Graceland è uno dei luoghi più visitati del mondo. Amo tutto di lui e ho ripreso con piacere Don't Be Cruel; per Hound Dog mi rifaccio invece a Big Mama Thornton, la sua sì che era una versione scandalosa, non quella di Elvis. Comunque Elvis era scatenato, incontenibile: era il James Brown bianco»
I suoi ricordi musicali più cari?
«Dovrei scrivere un libro per citarli tutti. Ma soprattutto amo i duetti con Ray Charles per il loro spessore emotivo e perché hanno cambiato la mia carriera. Da quel momento infatti sono diventata famosa anche in Europa... Insieme siamo stati anche al vostro Festival di Sanremo. A Parigi impazziscono per me. In America mi vedono più come una cantante jazz, in Europa come una performer di stili diversi»
E chi l'ha influenzata di più tra le cantanti di jazz?
«In assoluto Betty Carter è quella che mi ha impressionato di più perché la sua performance era molto fisica. Cantava ma al tempo stesso usava tutto il corpo nell'esibirsi e nell'incidere. Poi mentre era incinta mia mamma ascoltava Ella Fitzgerald: forse per quello ho imparato a cantare lo scat prima ancora di sapere cosa fosse. E anche Carmen McRae che mi ha aiutato molto».
E tra i musicisti?
«Dizzy Gillespie mi ha insegnato lo humour nelle cose serie.
Lui era un intellettuale e un grande solista ma sul palco sapeva fare anche il clown. Miles Davis era il mio eroe perché cambiava sempre direzione, non potevi mai sapere cosa avrebbe fatto dopo, e io ho sempre voluto fare come lui».
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