Cultura e Spettacoli

Bella e anche ambigua La mostra di Bacon che non si sa se è davvero di Bacon

Luigi Mascheroni

nostro inviato a Treviso

A Treviso, alla Casa dei Carraresi, ignorata dalla grande stampa nazionale, ha da poco aperto una mostra molto particolare. S'intitola Francis Bacon. Un viaggio nei mille volti dell'uomo moderno e presenta una scelta delle opere che costituiscono la Francis Bacon Collection of the Drawings Donated to Cristiano Lovatelli Ravarino. E qui comincia la nostra curiosità. Di cosa si tratta? Di un numero enorme di disegni, pastelli e collages (si parla di circa 500-600), realizzati da Bacon tra il 1977 e il 1992 nei suoi soggiorni italiani e che poi regalò a un suo intimo amico: Cristiano Lovatelli Ravarino.

Bene. Appena entrati, dopo avere pagato un biglietto molto più costoso della media nazionale (13 euro), nella prima sala siamo informati da un pannello che le opere che stiamo per vedere sono, da anni, al centro di una polemica relativa alla loro autenticità, tra processi, sentenze, perizie, discussioni tra gli studiosi... La mostra diventa a questo punto ancora più singolare (resta aperta fino al 1° maggio 2017, c'è tempo...). All'inizio, la visita non è esaltante. Un paio di sale sottotono, qualche disegno a matita, un video in cui Cristiano Lovatelli Ravarino racconta il suo rapporto con il grande artista irlandese (ci ha colpito il passaggio in cui ricorda come declinò l'invito di Bacon ad andare a vivere con lui a Londra: «Ma scusa, la mia è una delle più antiche famiglie d'Europa, vanta quattro Papi nell'albero genealogico, ha costruito 33 castelli, e vuoi che venga ad abitare in un garage?»). Poi, però, il percorso s'impenna. Curata dal critico Edward Lucie-Smith e dalla giovane storica dell'arte Giulia Zandonadi, la mostra squaderna una serie di pezzi impressionanti, almeno per un profano. Ripetiamo: non sono tele. Solo pastelli e collages. Ma splendidi. Grandi, coloratissimi, precisi, tutti firmati (e la cosa in effetti è anomala). C'è una sala con le crocifissioni (maschili, femminili, bisessuali...) che «guardano» al Crocifisso di Cimabue e al Bue squartato di Rembrandt. Una coi Papi (decine di variazioni sul tema del celeberrimo ritratto di Innocenzo X di Velázquez, di cui qui è esposta la copia che ne fece, pochi anni dopo, Pietro di Neri Martire). Una con le teste «urlanti». E poi ritratti (di Gianni Agnelli, ad esempio) e autoritratti... Alla fine della mostra, nell'ultima sala, un pannello raccoglie una serie di perizie che attestano l'autenticità delle firme di Francis Bacon, dei materiali usati, della «mano»... insomma di quanto si è appena visto.

Noi non sappiamo cosa abbiamo visto, esattamente. Sappiamo che una parte della critica, quella inglese soprattutto, e la «Francis Bacon Estate», l'istituzione che tutela l'artista, non riconosce i disegni. Sappiamo che però una parte della critica italiana è propensa a considerarli veri. Vittorio Sgarbi, ad esempio, che iniziò a interessarsi alla collezione di Lovatelli Ravarino nel 2012, in occasione di una mostra a Praga, è per l'attribuzione: «Se non sono di Bacon - mi confessa - devono dirmi chi è il falsario».

Poi, rimane il mistero Lovatelli Ravarino. Nobile (decaduto?), giornalista, amante di Bacon, per sua ammissione (ma sarà vero?), uomo della Cia in Italia...

E ciò rende la storia dei «disegni italiani» di Bacon - raccontata finora più nelle aule dei tribunali che sui giornali - ancora più intrigante.

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