Blanchett dà il primo premio al "miracolo" in Laguna

Ieri serata inaugurale senza gala al Lido semideserto. Ma la rassegna cinematografica di Venezia è uno spot per l'Italia

Blanchett dà il primo premio al "miracolo" in Laguna

nostro inviato a Venezia

Se il cinema è la vita senza la noia dei tempi morti, come diceva un grande regista, perché la vita non può essere il cinema senza la paura di morire?

E così Venezia, città d'arte, «da cinema» e dell'arte del cinema, getta cuore, pellicole, sogni, programmi e paure oltre lo spettro del Covid e porta in scena se stessa. Con discrezione, con tutte le regole sanitarie possibili e prescrivibili (è l'edizione più blindata di sempre, dove le misure antiterroristiche si sommano a quelle antivirus), con molto orgoglio, qualche Cassandra, un innegabile coraggio e inevitabili timori. «Ancora fino al 15 maggio ha detto ieri il direttore Alberto Barbera, presentando il festival accanto al neopresidente della Biennale Roberto Cicutto non c'era alcuna sicurezza di partire». Poi la decisione, i rischi calcolati e la certezza di fare la scelta giusta.

Ed eccoci qui. Seguendo dalla platea della Sala grande del Palazzo del cinema, così diverso da tutti gli altri anni - i posti a scacchiera sono obbligatori ma tristi, le mascherine attutiscono ogni cosa e persino gli applausi sembrano distanziati l'impressione è che non soltanto ha ragione Alberto Barbera quando alla domanda «Si poteva evitare la Mostra?» risponde: «Forse sì, ma per noi non si poteva non fare» ma che, comunque finirà, sarà un successo. In un mondo che si è chiuso in casa e difeso a riccio, Venezia si riapre al mondo: primo grande festival internazionale a farlo, e a farlo in presenza nella stagione dello streaming e dell'online pigliatutto, è anche il primo grande evento culturale che riesce a ripartire dopo la catastrofe. Ci sono momenti in cui i titoli del grandi classici vanno ribaltati. Vita a Venezia.

Pochi smoking, tanto gel, outfit più sobri ma l'eleganza del festivàl resta la stessa. Lo stile italiano è una lezione per il mondo.

Benvenuti al Lido, annus horribilis 2020. Ieri sera al Palazzo del cinema si è celebrata una rinascita. L'inaugurazione della Mostra più strana di sempre, l'emozione troppo recitata e l'elogio del fare della madrina Anna Foglietta, il film d'apertura Lacci con il cast schierato... Si è celebrato anche il rito del red carpet, come tutti gli anni, ma solo a favore di fotografi e di telecamere. E in assenza di pubblico: la passerella col tappeto rosso più lungo e più antico della storia dei festival quest'anno è separata da un muro d'emergenza per dissuadere assembramenti, fan, autografi, selfie...

Durante il surreale, silenzioso red carpet, «dietro il muro» non si sente - a differenza del solito - né un grido, né un saluto, né il nome di un divo urlato da una ragazzina...

Meno isterismi, più concretezza. Anche le code - tante - sono più composte.

Certo. Le star sono poche, e tutte concentrate nei primissimi giorni, per giocarsi subito mediaticamente i nomi forti: la presidente della Giuria, l'attrice australiana Cate Blanchett, si è esposta molto (ieri ha confessato il suo lockdown, trascorso nella casa in campagna poco fuori Londra: «Ho parlato negli ultimi sei mesi solo ai miei maiali e alle mie galline, quindi essere qui è un vero piacere»), il «Leone d'oro» alla carriera alla carismatica Tilda Swinton consegnato già ieri, il cortometraggio di Pedro Almodóvar The Human Voice che passa stamattina, il languido e applauditissimo omaggio a Ennio Morricone «diretto» dal figlio Andrea (C'era una volta... il grande cinema), il superdivo italiano del momento Pierfrancesco Favino protagonista già domani del film Padrenostro... Certo. Non ci sono blockbuster (ma tanti film d'autore: Venezia quest'anno è meno festival e più mostra), Hollywood è lontana, forse non ci sarà neppure un Oscar annunciato come gli anni scorsi. Niente feste (la tradizionale cena di gala post-cerimonia d'apertura, molto chic e molto affollata, è stata prudentemente annullata) né grandi eventi. E anche il pubblico è dimezzato: ieri pomeriggio la giornata era di splendido sole, ma il clima plumbeo in un Lido semideserto... Ma la ripartenza e la resilienza (parola usata due volte ieri da Cate Blanchett, che si è fatta scappare persino il termine «miracolo», pronunciato in italiano) di cui si è dimostrata capace Venezia restano un risultato incredibile (anche uno spot per l'Italia? Sì, anche uno spot per l'Italia, perché no?).

I festival servono al business, sono una vetrina per i prodotti migliori, ma sono anche centri di creatività, di progetti, di incontro, di formazione del pubblico, di educazione delle giovani generazioni, alle quali far scoprire la bellezza del cinema. Annullarne uno, non è soltanto una kermesse in meno...

La paura fa 90. Ma la Mostra fa 77. Non sarà un'edizione con film ed eventi straordinari, ma è straordinario che la Mostra si faccia. Ieri qui c'erano persino tutti i direttori dei maggiori festival del cinema europei, uno accanto all'altro (e Barbera primus inter pares): Thierry Frémaux da Cannes, Lili Hinstin da Locarno, Vanja Kaludjercic da Rotterdam, José Luis Rebordinos da San Sebastián... Sembrava un po' come l'Unione europea. Sulla carta tutti fratelli, poi ogni leader resta nazionalista.

Hanno firmato un documento comune per il rilancio dell'industria del cinema, accantonando (per quanto?) la concorrenza a favore della collaborazione. Vedremo.

Intanto a 125 anni da quando i fratelli Lumière aprirono la prima si torna in sala. E questa non sarà Storia, ma è una bella cronaca. Come ha detto Cate Blanchett: per ora «Ce l'abbiamo fatta».

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