Dal boom all'alluvione. Che "magnifica creatura" era la Firenze anni '60

Antonella Boralevi prosegue la saga dei conti Valiani, fra lussi e crisi di un'Italia che cambia

Dal boom all'alluvione. Che "magnifica creatura" era la Firenze anni '60

Due sorelle. Una radiosa, l'altra brutta, anzi bruttina che è anche peggio. Ottavia è solare, Verdiana è sfuocata in una perenne penombra e non sa come uscire dal bozzolo soffocante della sua mediocrità. Intorno a loro, una folla di personaggi come in un romanzo russo. Il padre, il Conte Guidalberto Valiani che tutti chiamano il Dottore, la madre Letizia, scialba come la secondogenita, ma più rassegnata a fare tappezzeria. E poi la cameriera, la cuoca, la sguattera. Siamo all'inizio degli anni Cinquanta e Ottavia sposa Cesare, il fratello sbagliato di una famiglia di nuovi ricchi rampanti, i Salvadori, che sono partiti dal ferro e stanno virando verso i frigoriferi.

I Valiani e i Salvadori, dunque, in un intreccio altoborghese. Sullo sfondo, ma non troppo, l'Italia del primo dopoguerra che corre verso il boom e il benessere. San Miniato, Firenze, Viareggio e Forte dei Marmi, in perenne competizione per conquistare le vacanze delle classi sociali più elevate. È questo il set di Magnifica creatura (La nave di Teseo, pagg. 480, euro 20), il nuovo romanzo di Antonella Boralevi, scrittrice collaudata e volto televisivo che maneggia con nonchalance un labirinto di intrecci, colpi di scena e avvenimenti storici che hanno segnato le nostre generazioni. Da fuori è tutto un presepe, ma se solo si socchiudono le porte e si ascoltano i discorsi, si scopre che siamo sull'orlo del baratro. Sentimenti velenosissimi, tradimenti quasi sfacciati, convenzioni e liturgie dell'aristocrazia che si sfarinano a contatto con la modernità. Il mondo penetra da uno dei primi televisori, un Philips dal costo astronomico, 350mila lire, che Cesare ha dignitosamente sistemato nella biblioteca del cinquecentesco palazzo Valiani.

In Tutto l'amore che c'è, Boralevi aveva seguito i Valiani fra il 1940 e il 1951, qui si prosegue fino all'alluvione di Firenze, ai giorni lividi e fangosi del novembre '66, e alla vigilia del Sessantotto. I vecchi equilibri saltano come i tappi delle bottiglie di Dom Pérignon che i protagonisti assaporano in una profusione di cristalli. Le signore bene di Firenze organizzano feste, balli e party, partecipano alla prima del Maggio - memorabile, con la direzione artistica di Roman Vlad, quella del '64 - bevono drink sulla terrazza del Principe di Piemonte a Viareggio, immersa nel cielo e nel mare, dove avviene la scena madre del libro. Ma basta poco, un refolo di vento fra i capelli, un vecchio amore che bussa, uno sguardo inatteso, per aprire faglie paurose e scuotere come polvere antiche certezze.

Si sale e si scende sulla giostra della vita e i percorsi portano dove nessuno aveva immaginato: Cesare supera la sua condizione gregaria e diventa il leader dell'azienda nel momento in cui il frigorifero diventa una necessità per l'italiano medio. È una corsa, anzi una rincorsa, in un Paese carico che vuole smettere di essere povero e pensa in grande.

La morale è quella classica, di sempre, ma sotto una crosta sottile, sempre più friabile, si consumano relazioni clandestine che poi così nascoste non sono. I costumi degli italiani stanno cambiando, le donne reclamano autonomia e rivendicano il diritto, lunare fino a un attimo prima, di stringere fra le proprie braccia un amante. I preti sembrano impreparati all'urto con la contemporaneità e la religione, gira e rigira, pare coincidere con due attività: il catechismo e l'aiuto, sacrosanto per carità, ai poveri. Ma la bussola del tempo andato non funziona più e non indica più la direzione.

Ognuno cerca a tentoni la propria strada: Ottavia scopre il design più attuale, Zanuso e Castiglioni, e poi l'architettura di Michelucci che celebra con la chiesa a bordo guardrail i 160 operai morti per realizzare l'Autostrada del Sole. Verdiana è più defilata, è spettatrice dei trionfi di Ottavia, arranca, sembra sprofondare nella palude dell'indecisione e di un'autostima che non decolla ma poi, se si osserva con attenzione, si capisce che anche lei avrà le sue chance: c'è una magnifica creatura in ciascuno di noi, suggerisce il testo con inguaribile ottimismo, anche se spesso concludiamo il nostro tragitto terreno senza prenderne consapevolezza. Senza capire che siamo molto di più di quello che ci diciamo di essere.

Gli anni Sessanta portano i Beatles, le stanze sature di fumo e il comunismo che aleggia nelle interminabili serate organizzate nel superattico di Ottavia e Cesare. Ma c'è anche Mina, in una serata da incorniciare alla Bussola, e poi don Milani, con un cristianesimo che va alla radice dell'esistenza, e Zeffirelli che documenta la città affogata dall'Arno. Le delusioni non finiscono mai ma, fra un matrimonio e un funerale, i ko non sono definitivi. C'è sempre la possibilità di ripartire e di giocare la partita, nessuno dev'essere condannato a restare in panchina.

E qualche volta la soluzione, esistenziale, è davvero a portata di mano: basta spostare le tessere del puzzle, mettere la seconda al posto della prima e viceversa, capovolgere il quadro, e quel che sembrava sfiorito, ma era solo incompiuto, prende finalmente forma e trova finalmente pace. Non c'è un finale consolatorio, ma si capisce che c'è stato un passo. In avanti. In quell'Italia meno sofisticata ma in fondo anche meno calcolatrice e più entusiasta di oggi.

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