Tra brutale sceneggiata e verità un reality-mafia da Scampia

Altro che il vero. È lo spruzzo di realtà, specie se criminale, che scala le classifiche e diventa bestseller. Ecco la messinscena che Francesco Mari fa a pezzettini con il suo romanzo d'esordio, La ragazza di Scampia (Fazi, 256 pagine, 16 euro), prendendosi gioco dei prodigi dello storytelling camorristico nazionale, dove la scena di Napoli è sempre acchitata per compiacere l'occhio di chi guarda, desideroso di confermarsi nell'idea che «i napoletani abitano dentro un noir a cielo aperto». Il protagonista, Franco, tardo trentenne funzionario del comune, ha una vita noiosa. Il momento di più alta eccitazione lo raggiunge quando si ficca le cuffie dell'iPod nelle orecchie andando in ufficio. Poi c'è la depressione del lavoro: «Otto ore quotidiane di ufficio in cui faccio questo: niente». Per arrivare alla ciliegina sulla torta delle donne: «È quasi un anno che non scopo, Vale!, Chi cazzo se ne frega della crisi, o dei problemi preadolescenziali di tuo figlio». Un monologo interiore che si conclude sempre con la stessa resa: un bacio sulle guance. Franco però scrive. Rimugina la rivincita. Il piano è convincere un editore cool di Milano a pubblicare un libro. S'inventa così un reportage dall'inferno di Scampia. Un cantante neo-melodico che svela i segreti dei clan. Il gruppo rap impegnato nel sociale. Una donna-coraggio che perde il fratello e decide di parlare senza paura di morire ammazzata. È una storia afrodisiaca. Combacia alla perfezione con l'ideologia del romanzo criminale. Il mafia-reality-show.

L'editore si convince d'aver scovato il nuovo Saviano. Firma il contratto. Pianifica di far uscire il libro insieme a un film. «Faranno il botto», presagisce. Sale sino al settimo cielo. Da dove non scenderà neanche quando scopre che è tutta una sceneggiata.

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