nostro inviato a Venezia
«Non sopporto di vederti soccombere», dice Gary rivolto a suo padre, un homeless dedito all'alcol e pronto a sfruttare e vendere i suoi figli pur di procurarsi una bottiglia. Siamo nel sud degli Stati Uniti, il ragazzo e il suo depravato genitore sono, simbolicamente, adagiati su un binario che scorre alle spalle di una boscaglia. «Sei solo un ubriacone egoista», incalza il figlio, «e questa volta te la faranno pagare». A quel punto il vecchio lo picchia prima di salire verso il terrapieno della ferrovia e trovare chi darà compimento alla previsione del giovane che si allontana, a sua volta, su quel binario morto. Il folgorante inizio di Joe diretto da David Gordon Green, interpretato da Nicolas Cage e presentato ieri in concorso ha reso esplicito uno dei temi accennati sottotraccia in altre pellicole di questi primi giorni della Mostra: l'assenza e la ricerca del padre, l'importanza degli adulti in un mondo privo di certezze e nel quale la famiglia si disgrega e implode, mietendo vittime e lacerando nell'anima e nella psiche i suoi componenti. Lo si è visto in La moglie del poliziotto di Philip Gröning, tre estenuanti ore di riprese con camera fissa nel ménage domestico in un paesino tedesco, dove l'egocentrico marito picchia e umilia la sua donna che precipita nell'annullamento e nella follia di cui fa le spese l'unica figlia. «Serve un anziano» dice, invece, un aborigeno a Robyn Davidson (Mia Wasikowska), la giovane che in Tracks (e nella vita reale) ha traversato il deserto australiano fino alla riva dell'Oceano Indiano percorrendo un lungo viaggio dentro se stessa. «Serve un anziano» per affrontare un territorio impervio e introdurci nel mistero dell'esistenza. E magari, come in questo caso, è un anziano che parla poco perché «le parole sono sopravvalutate».
Parla poco e agisce molto, con le ruvide mani e la pistola, anche Joe Ransom, l'ex detenuto che recluta braccianti a giornata in un angolo di Texas piovoso e desolato, popolato di negri, balordi e frequentatori di «store» e bordelli. Con un passato di crimini e di attriti con i rangers locali che gli pesa dentro e riaffiora ad ogni minimo contrasto, Joe non ha ancora deciso se vuol davvero metter la testa a posto. Ci pensa Gary (Tye Sheridan) in fuga dal padre, con il suo bisogno di lavoro e di un buon esempio da seguire, a responsabilizzare il violento lupo solitario, rispettato da tutti ma amico di nessuno. Nemmeno della ragazza che vorrebbe uscire una sera a cena, ben vestiti, con lui che le apre la porta dell'auto... Non è roba per lui. Eppure, «sei un adulto, Joe», lo stuzzica lei suscitandone la reazione: «Che significa questo?».
Il cammino verso la redenzione però è lastricato di scazzottate e sparatorie. A differenza del padre di Gary che è al di là del bene e del male, il complicato Joe un primordiale codice etico ce l'ha, pur sommerso dalle troppe risse. Meglio tirarlo fuori ora che c'è da proteggere quel ragazzo dandogli le dritte per sfangarla in mezzo ai serpenti. Anche perché, aiutando lui, l'ombroso cowboy trova motivo per rimetter in carreggiata se stesso. Finché...
Applaudito alla proiezione per la stampa, questo post-western malinconico, costellato di qualche eccesso (l'uccisione violenta di un barbone da parte del padre, la carrellata nelle camere del bordello), segna il ritorno al cinema indipendente di un Cage in discreta forma. Fino a che punto un padre morale può sostituirsi a quello naturale? La protezione di un giovane può essere da stimolo per cominciare una nuova vita? Sono le domande attorno alle quali ruota la pellicola tratta da un romanzo di Larry Brown, autore americano di storie di gente qualunque scomparso nel 2004. «Credo che la pace nel mondo parta dalla casa e da quello che avviene in famiglia», ha detto sbrigativamente Cage all'incontro con i giornalisti. «Penso sia fondamentale che un padre si occupi dei propri figli».
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