Ma stavolta di più. Cesare Cremonini ha sempre irradiato la propria vita nelle canzoni per poi raccontare la realtà di tutti. Però ora è l'intero disco Logico, che esce oggi, a essere autobiografico da cima a fondo. Dai testi (ad esempio l'intensa originalità delle parole sul padre in Quando sarò milionario) fino alla musica e agli arrangiamenti, complessi eppure asciutti, frutto di una ricerca quasi ossessiva. Il disco della maturità, se così si può dire per un artista in giro da quindici anni senza replicarsi mai. Oppure, più semplicemente, il disco di chi scrive canzoni come se fossero le pennellate di un quadro o le inquadrature di un film: scenograficamente legate l'una all'altra dalla prima nota (quella della Intro Blu) fino all'ultimo verso dell'ultima canzone, che può scherzosamente diventare anche la prima domanda di questa intervista.
Allora caro Cesare Cremonini, «in quella testa qualcosa di buono ce l'hai»...
«Ma non mi accontento. E da quindici anni sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli, sin da quel giorno nel quale ho marinato la scuola per andare a citofonare al produttore Walter Mameli, che è ancora al mio fianco».
Però indubbiamente Logico è illogico. Nel senso che logicamente ci si sarebbe aspettati una replica dell'ultimo disco.
«Di certo La teoria dei colori è considerato di successo. Ma mi conosco: se ne avessi voluto farne una copia, ne avrei fatto una brutta copia. Meglio evitare».
Meglio cambiare.
«Ormai i generi musicali si mischiano e, anche se i miei fari rimangono il grande cantautorato e la musica inglese dai '60 fino a oggi, ormai nelle mie partiture entrano anche elettronica e dance. Dopotutto questo disco è lo specchio dei miei 34 anni: ho sempre scritto canzoni a occhi chiusi. Stavolta ho provato a tenerli aperti, o almeno socchiusi».
Ossia?
«Alla mia età l'indagine su se stessi diventa interessante. Perciò è un disco che indaga, e quindi ha più domande che risposte. Come canto in Vent'anni sempre, sono in quella fase esistenziale nella quale si inizia a scegliere sul serio. Prima sei più che altro scelto».
A proposito, lei sceglie sempre meno la tv.
«Io sono un fruitore ossessionato della tv. Ma ho bisogno di tempo per esprimermi e in tv non si può più. La tv è una parte grande e utile di questo paese. Ma la realtà è molto più grande della tv. E io mi sento più animale da palcoscenico».
O da set cinematografico. Come con Pupi Avati ne Il cuore grande delle ragazze.
«Mi cercano in tanti. Magari anche solo per avere un nome che attiri pubblico. E penso che tornerò a recitare. Ma non cerco di raggiungere il risultato, di fare cassetta come invece faccio nella mia attività principale, che è la musica. Io ho sposato la musica e, come si capisce, in Cuore di cane, ho sempre fatto ruotare la mia vita privata intorno alla musica. In fondo, sono un solitario. Che non vuol dire solo».
In John Wayne canta: «Per te sarò cattivo come Lecter, come Al Pacino farò esplodere il set».
«Quando ho girato il film con Pupi Avati, dal camerino ho sbirciato un mondo che non conoscevo e in quella canzone provo a chiedermi quale sia il mio ruolo».
Domandona.
«Però non ho mai fatto un disco così rilassato e sereno, forse perché dopo tanti e tanti anni sono riuscito a scrollarmi di dosso un po' di insicurezze. D'altronde già a 18 anni mi era stato chiesto di essere molto più grande e consapevole di quel che ero».
I Lùnapop.
«Il nostro fu un tour pazzesco, tutto sold out. In certi posti c'era così tanta richiesta di biglietti che dai palasport fummo trasferiti agli stadi».
Stavolta anche il suo tour (che parte il 28 ottobre dal Forum di Milano) è kolossal.
«Sarà il tour più importante della mia carriera. Ho impiegato 15 anni a tornare dov'ero ma nel frattempo sono rimasto libero e senza compromessi, con sempre in testa quella frase di De André che diceva più o meno: il successo senza credibilità è nulla».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.