Camihawke è strafiga. Meglio di Jane Austen

Il successo di un libro semplice semplice nasce a colpi di Instagram. Bisogna farsene una ragione

Camihawke è strafiga. Meglio di Jane Austen
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Vi volevo dire che ho deciso di farmi una cultura. Basta Proust, Joyce, Kafka, ma anche Pallavicini, Culicchia, Vallortigara, Dawkins, Busi, Arbasino, Darwin, Bernhard, insomma le mie solite letture tra letteratura e scienza noiose ai più. Cioè mi sono reso conto della mia ignoranza quando ho visto che al primo posto in classifica c'era il romanzo di Camilla Boniardi, intitolato Per tutto il resto dei miei sbagli e pubblicato da Mondadori, e ho interrotto la lettura dell'ultimo Thomas Bernhard in pubblicazione per Adelphi, di cui scriverò poi, mi sembra più importante la Boniardi.

Ma Mondadori mica lo ha solo pubblicato. Nel risvolto di copertina viene definita la nostra Jane Austen. Devo dire che all'inizio leggendolo ho pensato che in Mondadori si fossero fumati qualcosa, e i recensori pure (ma quelli non hanno bisogno di fumarsi niente, sono così per conto loro), ma ho capito anche che forse no, come scrittore ho sbagliato tutto io, venti anni a rompermi la schiena per scrivere capolavori quando bastava poco, ma erano altri tempi. Tanto per cominciare questo romanzo viene comprato e elogiato da tutti perché te lo leggi tutto d'un fiato, e come dice l'autrice «il romanzo deve essere scorrevole e immediato». Non ci devi stare troppo a pensare. Mica devi stare lì a riflettere. La storia, se storia vogliamo chiamarla, parla degli amori di questa Marta, verso i quali lei si sente inadeguata, o loro sono inadeguati a lei, la vicenda è tutta qui, alla Jane Austen diciamo, sebbene a differenza di Jane Austen la possa leggere anche un bambino di otto anni. Uno stile fresco, e semplice, e senza pretese, ammettiamolo: meglio delle pretese che hanno quelli dello Strega. Un romanzo acqua e sapone che si beve come un bicchiere d'acqua (togliendo il sapone).

All'inizio ero un po' perplesso, a cominciare dal primo capitolo dove la protagonista, Marta, trasloca ma non riesce a capire cosa ha messo negli scatoloni. Ma il massimo della profondità è in speculazioni del tipo «passo intere giornate a fantasticare su cosa potrei fare se non dovessi fare quello che invece devo fare». Oppure osservazioni meteorologiche come «della primavera mi piacciono soprattutto tre cose: le giacchette un po' aperte mentre passeggio, contare quanti minuti di luce guadagno ogni giorno che passa e pedalare finalmente senza guanti». È tutto così limpido, fresco, come le musichette che ti mettono nelle SPA, vi giuro che a un certo punto mi sono perfino commosso senza capire perché. Ci sono anche i rovesci della medaglia, per esempio «della primavera non mi piacciono quello startunire continuo che denuncia lo sbocciare dei fiori e quando arriva la pioggia a riportarti con i piedi per terra». È pieno di pensieri così, e allora ho sentito il bisogno di approfondire, anche perché questa Marta si era iscritta a chimica organica ma ha lasciato perché non ci capiva niente e poi si è iscritta a giurisprudenza ma ha lasciato perché non ci capiva niente, quindi ha deciso di trovare l'amore della sua vita, cosa difficilissima perché non le va bene nessuno e nessuno va bene a lei, una specie di Selvaggia Lucarelli ma più pura, meno torbida, non profonda come Heidegger ma sincera come Heidi.

Così approfondendo ho capito tutto. Tanto per cominciare Camilla Boniardi è Camihawke, che su Instagram ha un milione e duecentomila follower, mica pizza e fichi, e così ho mollato il libro e ho iniziato subito a seguirla, mi pareva fosse quello il senso della cosa. È una ragazza bellissima, una vera strafiga (non so se può dire con le nuove regole antisessiste della Murgia), e dunque è ovvio che tutti i follower siano andati a comprare il suo libro (credo non ci siano account Instagram così seguiti se non sei carina). Ho sbagliato io a fare il contrario, a partire dal libro ignorando Instagram, ecco perché non capivo il fenomeno e l'altro milione e duecentomila sì. Camihawke ha un percing al naso delizioso, un sorriso incantevole, uno sguardo che Diletta Leotta levati, e inoltre sponsorizza Teresa Ciabatti (farsi vedere con il libro della Ciabatti è d'obbligo per una donna su Instagram, o anche per Nicola Lagioia), ha tutte le carte in regola per sbancare nelle librerie. Ho apprezzato oltretutto una cosa: non ha messo «scrittrice». Neppure «Instagrammer e scrittrice».

Anzi, la sua bio è semplice semplice: «La pasta al forno è il mio unico credo». Sono diventato un fan. O quantomeno un follower. Chissà se dopo questo mio elogio mi invita a cena. È Jane Austen, anzi molto molto più brava, mi sono convinto.

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