Cannes, polemica al Festival La Francia contro Moretti: "Ha favorito l’Italia"

Da Libération a Le Monde, la stampa d’Oltralpe infuriata perché non sono arrivati premi "in casa"

Cannes, polemica al Festival La Francia contro Moretti: "Ha favorito l’Italia"

Cannes - I francesi piangono, oppure mastica­no amaro. Il più esplicito, perché il più provinciale nel suo sciovinismo e quindi a digiuno delle buone maniere, è Nice Ma­tin . «Stupirsi del premio a Reality vorreb­be dire dimenticare che un giurato italia­no preferirebbe farsi ammazzare sul po­sto, piuttosto che rinunciare a premiare un film del proprio Paese. Sarebbe stato difficile per Nanni Moretti spiegare, rien­trando in Italia, che non aveva potuto far niente per un compatriota». Douce Fran­ce...

Libération , che al Festival e ai suoi premi dedica sette pagine, e che di Holy Motors , il film visionario,molto cerebrale e un po’ troppo privato («faccio il cinema che pia­ce a me, non quello che piace al pubbli­co») di Leos Carax aveva elevato più di un peana e tutte le sue penne, privilegia una lettura filosofica. Le scelte della giuria, scrive, facendo capire che sono il frutto di quelle del suo presidente, hanno il sapo­re dell’accademia: Michael Haneke è alla sua seconda Palma d’oro in tre anni,Chri­stian Mungiu fa anche lui parte dei già pre­miati, Ken Loach è ormai alla sua dicias­settesima passerella in loco, ed è pieno di decorazioni al merito cinematografico, lo stesso Matteo Garrone fa il bis ad appe­na quattro anni di distanza. «Per vincere bisogna appartenere alla cerchia di chi è già stato vincitore» è il commento, con l’aggiunta che l’aver sottovalutato i film di Resnais ( Vous n’avez encore rien vu ), di

Cronenberg ( Cosmpolis ), di Anderson ( Moonrise Kingdom ) di Hang Sang So ( In Another Country ), è segno di poca auda­cia. L’audacia che, invece, presidenti di giuria lo stesso Cronenberg, Tim Burton e Sean Penn, Cannes aveva avuto nelle pre­cedenti e ultime edizioni. In sostanza, ci­nematograficamente parlando, Moretti si è rivelato un vigliacco. «Feroce nel suo mondialismo alternativo», viene poi defi­nita la scelta di lasciar fuori la cinemato­grafia statunitense (ben sette film in con­corso su 22 nelle varie sezioni), e alla fine Libèration non ce lafa comunque a dissi­mulare l’amarezza per la dèbacle france­se, appena un anno dopo il trionfo di The Artist e Polisse . «Crudele» è il giudizio su Moretti di Le Monde .

Le Figaro è più sobrio: scelta equilibrata e di qualità, commenta, dove comunque fi­gurano i favoriti della vigilia e, «sorpresa notevole», Reality di Matteo Garrone «che nessuno si attendeva». In ultimo, ma non per ultimo, le reti televisive d’ol­tralpe non hanno perso tempo a sottoline­are che, per quanto sconfitto dalla giuria, De rouille et d’os , il mélo bello ma un pò troppo ruffiano nel suo ricatto sentimen­tale, di Jacques Audiard, è stato già super­premiato dal pubblico: più di un miliardo di euro di incassi appena uscito.

Nazionalismi a parte, nessuno mette co­munque in discussione la qualità dei film vincitori ( Amour di Haneke in primis), an­che se il premio alla regia a Post tenebras lux di Carlos Reygadas ( il più cerebrale e il meno comprensibile) lascia perplessi, e quello della giuria a The Angel’s Share di Ken Loach fa un po’ storcere il naso (un’operina, più che un capolavoro). Più in generale,è l’idea di un Festival che inve­ce di inseguire e incoraggiare le novità, na­viga sulla rotta sicura del già canonizzato.

In realtà, Moretti si è mosso sì su un terre­no già arato, ma se si eccettua Alain Re­snais ( che però a novant’anni non ha cer­to bisogno che qualcuno lo scopra) e Jeff Nichols ( il suo Mud è stato unanimamen­te definito «un gioiello»), non è poi che le scelte delle giuria siano state così discor­danti rispetto a quelle della critica in gene­rale. Anche l’accusa di lesa maestà ameri­cana regge poco, perché nessuno dei film in concorso made in Usa meritava di vin­cere alcunché. È probabile che Cannes soffra di gigantismo: troppo mercato e af­fari, poca voglia di strade nuove.

Le cifre (4600 giornalisti accreditati), il 20 per cen­to in più di gente, affari e investimenti ri­spetto allo scorso anno, lo attestano. Non sarà più la Francia «bling bling» cara a Ni­colas Sarkozy, ma nel nuovo mondo di François Hollande che punta alla sobrie­tà, fare film continua a essere un affare.

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