Per capire la letteratura bisogna "Leggere a caso"

Arriva in Italia la seconda parte del saggio al quale Virginia Woolf stava lavorando prima di suicidarsi

Per capire la letteratura bisogna "Leggere a caso"

Il clima avverso che accompagnò parte della breve esistenza terrena di Virginia Woolf, soprattutto gli ultimi giorni, lascia intendere che qualcuno nella maschilista Inghilterra debba averla temuta o debba aver detestato la sua superiorità e indipendenza intellettuale. Tanto è stato detto sul suo conto e la sua opera è stata passata più volte al setaccio.

Un nuovo tassello della straordinaria avventura letteraria e umana dell'autrice è oggi disponibile ai lettori italiani. Una piccola casa editrice ha portato a compimento un progetto avviato nel 2015 con la pubblicazione di Anon, il primo capitolo di quello che, nelle intenzioni della Woolf, sarebbe dovuto essere un saggio sulla letteratura inglese, rimasto incompiuto. Il secondo capitolo, quello che oggi appare con il titolo Leggere a caso (Nuova Editrice Berti, traduzione di Massimo Scotti, pagg. 92, euro 12), affronta il tema della lettura, con l'autrice che si concede, appunto, il lusso di leggere a caso, per assicurare al pubblico ciò che il mondo in quei giorni sull'orlo di un baratro insondabile rischiava di distruggere per sempre.

Sappiamo bene che il 28 marzo 1941 Virginia Woolf si gettò in un fiume, ponendo fine alla sua vita, malgrado l'amore mai sopito del marito Leonard. In Inghilterra regnava uno stato di psicosi collettiva per il timore di una invasione tedesca. Tre giorni prima, era uscito sul Times un editoriale che lodava il libello di Lord Godfrey Elton, Notebook in wartime, un vero e proprio atto d'accusa contro la figura dell'intellettuale e un'apologia dell'uomo qualunque. La buona società inglese era poco favorevole alla categoria a cui Virginia Woolf sentiva di appartenere e, secondo persone a lei vicine, ciò precipitò il suo umore, spingendola al gesto estremo. A rincarare la dose furono i benpensanti che tacciarono quel gesto di imbelle elitarismo e incapacità cronica di contribuire alla lotta della nazione contro lo spettro incombente del nazismo. La gogna postuma della scrittrice per le parole espresse nella lettera di commiato, resa di pubblico dominio, furono la beffa finale. Eppure, la Woolf aveva mostrato più volte il proprio pacifismo e i propri slanci di sincero umanitarismo, prodigandosi insieme al marito in favore dei più deboli, nelle scuole e nelle fabbriche, ma sempre lontano dai clamori della stampa.

Il pubblico e la critica non indugiarono sulle tragedie che avevano colpito la fragile ragazza: la perdita del padre, della sorellastra, del fratello e, soprattutto della madre (la cattedrale della sua infanzia), quando era ancora quindicenne. La data del 5 maggio 1927, scelta per la pubblicazione del celebre Gita al faro, non era stata casuale: l'anniversario della scomparsa della madre, diventata signora Ramsay in quel romanzo dai tratti fortemente autobiografici.

Leggere a caso è un libro incompleto: l'opera intera si sarebbe dovuta intitolare Reading at Random o Turning the Page. La Woolf, secondo l'interessante prefazione di Massimo Scotti, vuole «assumere le sembianze» del lettore comune, lei che «comune» non è, facendo «parte di una élite intellettuale», rifuggendo «le parti del critico o dello studioso», appannaggio di «quel dominio maschile da cui in gioventù si era sentita esclusa».

Sorprende, considerate la cupa esistenza dell'autrice e la scarsa presenza del registro semiserio nella sua prosa, il tono talvolta faceto con cui affronta alcune pagine. Con il sommo vate Shakespeare a farle da guida. «Fu con la chiusura dei teatri che nacque il lettore. La curiosa facoltà di rendere visibili case e luoghi, gli uomini, le donne e le loro emozioni mediante segni su una pagina stampata non riuscì a svilupparsi fin tanto che dominava il teatro. Quando nasce il lettore? Con Shakespeare? Il pubblico elisabettiano non ha un libro pieno di parole. Deve disegnare con la mente mentre se ne sta in piedi, o seduto, a teatro».

Per anni abbiamo assistito al proliferare di tomi da cinquecento, seicento pagine. Non che la lunghezza di un libro debba rappresentare un ostacolo. Se il contenuto è di livello, non si vorrebbe mai smettere di leggere.

Oggi però assistiamo a una inversione di tendenza, con editori che preferiscono testi di poche pagine, ben curati nella grafica, ottimamente scritti. Questo libro (con un'incisione di John Dickson Batten in copertina e le belle decorazioni di Demetrio Costa) e l'intero catalogo della Nuova Editrice Berti lo dimostrano.

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