Boom. Al momento giusto. E ormai chi gliela leva più la medaglia per la canzone d'oro dell'estate. Mica era favorita, Carly Rae Jepsen, anzi: era lì lì per finire fuori gioco e tornare a servire caffè nel solito bar dove tutti la chiamavano «ragazzina» nonostante abbia ventisette anni. E invece ha fatto il record più atteso: creare il tormentone perfetto, ossia inutile, evanescente, persino insopportabile eppure irresistibile. In quindici giorni netti Call me maybe è diventato il brano più trasmesso in Italia, superando anche la favorita Balada di Gusttavo Lima, la furbetta Whistle di Flo Rida e l'appiccicoso Il pulcino Pio. Ed è anche il più venduto negli Stati Uniti.
Per spiegarci, dopo Tik tok di Ke$ha, è il primo singolo a salire direttamente al numero uno senza avere il traino di un album. Bingo. Anzi, doppio bingo perché Call me maybe ha un arrangiamento che non va oltre il karaoke più volatile, un testo che è meglio lasciar perdere e tutto sommato non sfoggia neppure un'intuizione piccola così. Per di più era già stato pubblicato senza troppe pretese a novembre in Canada, dove Carly Rae Jepsen aveva provato a sgattaiolare via dall'anonimato con il talent Canadian Idol (terzo posto nel 2007) e poi con il solito tran tran del debuttante che rischia di restarlo a vita: piccoli progetti, grandi sogni e spesso grandissime delusioni.
Invece tempo fa il Bolt dei ragazzini pop, ossia Justin Bieber, ha appoggiato i polpastrelli sullo smartphone per twittare ai suoi 22 milioni di followers che «Call me maybe è la canzone più orecchiabile di sempre». Nell'universo under 30 manco un'atomica avrebbe fatto più fracasso. E difatti in pochi giorni la signorina nessuno - capelli corvini, bella frangetta, lineamenti commestibili a ogni latitudine - è stata cercata su YouTube per 170 milioni di volte, tutti a guardare il video più adolescenziale del reame, roba che al confronto quelli di Miley Cyrus grondano allusioni esoteriche. Dunque, Carly Rae Jepsen viene fulminata da un ragazzone bellissimo e orgoglioso dei suoi pettorali. Allora s'ingegna per attirare la sua attenzione con un piglio che se lo sognava persino Bridget Jones. E quando finalmente riesce a trascinarlo a un suo concerto, il fustacchione le fa tanti complimenti ma poi lascia il proprio numero di telefono all'allibito bassista della band. Bye Bye. Per carità, neanche l'ombra di un giudizio, niente allusioni omofobe o frenesie femministe. Giusto una risatina scacciapensieri. Sarà anche per questo, in una fase in cui anche il pop usa e getta se la tira da maître à penser, che Call me maybe è letteralmente esplosa in tutto il mondo. La Nazionale Usa di nuoto al completo, compresi Michael Phelps, Ryan Lochte e Melissa Franklin, hanno adottato la canzone come inno della spedizione a Londra 2012. E l'hanno sfruttata come colonna sonora di un videoclip, cantandola a squarciagola sul pullman, in aereo, in piscina (persino in apnea). Risultato: 4 milioni di contatti. Tempo pochi giorni e sono arrivate anche le parodie, vero marker delle canzoni di successo. In rete se ne trovano quasi una decina, si adattano a tante celebrità più o meno trasversali come Katy Perry o Selena Gomez, e non è neppure difficile trovare una clip con un collage di frasi di Obama identiche al testo di Call me maybe e srotolate con lo stesso ritmo. Naturalmente anche i ragazzi italiani non si sono fatti mancare nulla e quindi circola l'improbabile cover Mi chiamerai, forse, vivamente sconsigliata a chi non abbia senso dell'ironia.
Insomma, trainata dall'euforia olimpica e da un ritornello indubbiamente vincente, questa (ex) cameriera canadese proverà subito a contabilizzare il suo quarto d'ora di fama già a metà settembre. Nuovo disco (titolo Kiss).
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