È affare complicato la genesi dell'opera che il 7 dicembre inaugurerà il teatro alla Scala. Stiamo parlando di Madama Butterly, la tragedia giapponese di Giacomo Puccini che venne stroncata nel 1904, al suo debutto: alla Scala. Si riprese dopo pochi mesi, a Brescia, rimodellata, con tagli e aggiunte. Venne ancora modificata per l'allestimento londinese e parigino. Nel frattempo la versione del 1904 spariva dalla storia milanese.
Il direttore della Scala Riccardo Chailly, per questa Prima rimette in campo la Ur-Madama Butterfly, quella del fiasco. «Voglio solo far conoscere un'alternativa. Nessuno intende imporre questa versione», spiega Chailly che così chiude il cerchio di un'operazione di recupero e rilettura critica dell'opera iniziata 20 anni fa.
«Con i cantanti, mi sono chiesto come sia stato possibile dimenticare la versione del 1904. Quando la sentii per la prima volta 15 anni fa, a Zurigo, ne fui folgorato», confessa. L'allestimento è affidato al regista e scenografo Alvis Hermanis, applaudito alla Scala in Die Soldaten di Zimmermann nonché autore dello spettacolo (questo non proprio memorabile, così la critica) de I due Foscari di Verdi. Il ruolo protagonistico spetta a Maria José Siri, soprano uruguaiano la cui carriera è sul far del decollo.
Hermanis ha realizzato una scena fissa che perdura per l'intera opera. Una struttura a moduli, cinque in lunghezza e tre in altezza, che cambieranno nel corso dell'opera anche in virtù di proiezioni video, tra esse quella sovrastante della collina di Butterfly. I moduli si aprono e chiudono disvelando nuovi ambienti, il colore prevalente dell'inizio è il giallo, ma poi le tinte si incupiscono fino alla tragedia finale.
La regia di Hermanis contrappone due mondi agli antipodi: l'orientale e l'occidentale. Il primo è contrassegnato da una gestualità e mimica spiccate, vedrete una Cio Cio-san (Butterly) che si muove in continuazione, capita che le mani si agitino in modo frenetico. Mani di farfalla, appunto. A questo, si oppone il mondo occidentale: realistico, incarnato anzitutto dal tenente Pinkerton, lo sposo della geisha quindicenne, e dal cinico Sharpless, console americano, sensale e tuttofare. Hermanis fa di Pinkerton l'americano che conquista il mondo giapponese a suon di dollari. E di Sharpless, il tipico individuo che sa stare al mondo. Donne forti - Butterfly, Suzuki, Kate - si contrappongono a uomini che cedono a un'istintualità animalesca, attratti dalle cose più basiche, fondamentalmente deboli. Così, il regista.
È proprio la versione del 1904 a mettere a nudo le crudezze di un Occidente imperialista che guarda all'Oriente come a un universo primitivo, a una terra di facile conquista. Tra l'altro, è l'unico titolo di Puccini «che racconta un mondo contemporaneo rispetto al periodo di composizione dell'opera: il Giappone del 1904». A proposito della spietatezza di questa versione rispetto alle successive. Nella Ur-Madama manca l'aria icona dell'opera, Addio fiorito asil, un brano pensato per «lenire il dolore. Quindi il fatto che manchi rende l'opera ancor più moderna» (Chailly). In compenso, spunta la romanza dello zio ubriaco alla festa nuziale, uomo tragicomico e disperato deriso da Pinkerton. La festa si trasforma presto «in tragedia, sottolineata dalla deflagrazione sinfonica di tromboni ascendenti e archi che scendono preparando l'arrivo dello zio Bonzo», colui che maledirà Butterly rea di un matrimonio che non s'aveva da fare. «È un'opera che fa male - continua Chailly - con l'orchestra siamo alle prime prove di lettura, quindi capita che sia io a cantare alcune melodie, e sento un'emozione intensa che vedo anche nei professori d'orchestra. Pure in sede di prova è un melodramma che riesce a dare dei dolori». Un titolo ricco di «azzardi armonici che forse sono stati tolti proprio per quello. Arditezze che poi Puccini ha ingentilito. Oggi è però tempo di fare questa operazione di recupero». Fra le novità di questa versione, la presenza di due anziché tre atti.
C'è una rarità nell'orchestrazione, «il cimbalum: strumento ungherese inserito nella prima versione e mai più. Puccini cercava un colore esotico».Con Madama Butterfly del 7 dicembre Chailly fa «un servizio di doverosa responsabilità nei confronti di Puccini e di un'opera che fa parte del patrimonio dell'umanità».
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