Un Checov in bianco e nero per la musa della Nouvelle Vague russa

Alla Festa del cinema di Roma il film della romena (ma ucraina di elezione) Kira Muratova e il mefistofelico «Ixjana» dei fratelli polacchi Jozef e Michal Skolimowski

Alla tenera età di 77 anni Kira Muratova, romena di origine ma ucraina di elezione, è ancora capace di un cinema di ricerca affatto scontato. Per decenni «musa» incontrastata della Nouvelle Vague sovietica, la Muratova propone alla Festa del cinema di Roma il suo ultimo lavoro: «Eterno ritorno». Si tratta di un divertissement di cinema nel cinema (meglio sarebbe dire di teatro nel cinema), dove una stessa scena viene ripetuta diverse volte ma da attori differenti e con alle spalle una scenografia mai uguale anche se sempre simile.

In verità si tratta di una serie di provini (virati tutti in bianco e nero per fare adeguato pendent a un testo molto checoviano) dove una coppia di attori è chiamata a ripetere diligentemente un dialogo tra un uomo e una donna che si incontrano dopo molti anni. Un incontro che dà modo all’uomo di confessare il suo amore per due donne contemporaneamente e che cerca, appunto, nell’amica confidente una spalla adeguata. Alla fine, i rari inserti a colori del film ci riportano alla realtà del tradizionale making-off dove un assistente di regia deve convincere un aspirante produttore a finanziare la pellicola nonostante la morte inaspettata e improvvisa del regista che aveva ordinato tutti quei provini. Il film consente diversi registri di lettura, anche se non sembra adatto a un pubblico vasto.

Le ambizioni dei fratelli Skolimowski (Jozef e Michal), autori di «Ixjana» sono invece ingiustificate, visto il risultato. Il film polacco (anch’esso in concorso) mescola troppe cose. Si va dal mito faustiano, all’incubo kafkiano rivisitato da Orson Welles, fino alla citazione dell’ultimo Kubrick. I due fratelli mettono al centro della scena la storia di Marek, un giovane scrittore, che sta cercando di risolvere il mistero della notte in cui il suo amico Arthur morì. Nei più profondi recessi della memoria Marek trova frammenti di eventi: la festa dall’eccentrico editore, il suo litigio con Arthur, la lotta, il sangue.

Temendo di aver ucciso il suo amico, Marek reprime i suoi sentimenti di paura e colpa attraverso l’incontro passionale con una donna che ha più a che fare con la sparizione di Arthur di quanto appaia. La narrazione scorre con il ritmo sincopato che caratterizza l’alternarsi di sogno e realtà, senza tuttavia alcun mordente e senza ottenere un ritmo trascinante.

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