Oggi sono in molti a ricordare Giovannino Guareschi e a celebrarne le virtù. Ma furono in pochissimi a rendergli il giusto omaggio quando il 22 luglio 1968 se ne andò prematuramente da questo mondo, a sessant'anni. Al camposanto di Roncole Verdi lo accompagnarono solo gli amici. Quanto alla stampa, si divise in due categorie: quella che lo ignorò, e quella che gli sputò addosso. In quest'ultima categoria stavano insieme, in un'alleanza inedita per quei tempi, i cattolici e i comunisti. I primi detestavano Guareschi perché aveva attaccato De Gasperi guadagnandosi peraltro quattordici mesi di galera e su uno dei loro giornali, cristianamente, scrissero che era morto «uno scarafaggio». I secondi, cioè i comunisti, avevano già il complesso di superiorità culturale e intellettuale, e si limitarono a scrivere, sull'Unità, che era «morto lo scrittore mai nato». Invano Guareschi, in vita, aveva provato a spiegar loro che nessuno prima di lui era riuscito nel miracolo di rendere simpatico un comunista, inventando il personaggio di Peppone.
Giovannino era nato a Fontanelle di Roccabianca nel 1908, un primo maggio, festa dei lavoratori: e siccome l'appartamento dei Guareschi era nello stesso stabile della Casa del Popolo, fu proprio un rosso uno dei primi a prenderlo in braccio. Era Giovanni Faraboli, sindacalista della povera gente di campagna: da un balcone lo innalzò per mostrarlo alla massa dei contadini che festeggiava in piazza e urlò: «Compagni, è nato un compagno!». Faraboli è l'uomo che ispirò poi a Guareschi il personaggio di Peppone e ancora oggi lì, davanti a quella ex Casa del Popolo di Fontanelle, c'è un busto in sua memoria: ma chiunque, passandovi accanto, lo scambierebbe per Gino Cervi, tanto è impressionante la somiglianza.
In quella terra, la Bassa, Giovannino è non solo nato e cresciuto, ma si è pure immedesimato. Senza capire che cosa è la Bassa parmense terra di caldo assassino d'estate e di nebbie totalizzanti d'inverno; terra di passioni, di talenti e di matti non si potrebbe capire nulla di Guareschi. Ma senza Milano, dove andò a vivere e lavorare nella seconda metà degli anni Trenta, Guareschi non sarebbe diventato Guareschi. A Milano portò il talento e la straordinaria umanità della sua terra, prima al Bertoldo, settimanale satirico un po' frondista, poi al Corriere della Sera, quindi dopo la guerra da Angelo Rizzoli, editore dei suoi libri e produttore dei suoi film. Rizzoli fu soprattutto editore di Candido, il settimanale di battaglia che fu forse il capolavoro di Giovannino; perlomeno alla pari della saga di Peppone e don Camillo. Con il Candido, Guareschi contribuì alla vittoria della Dc e alla sconfitta del Fronte Popolare alle elezioni del 1948 (suo il formidabile slogan «In cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no»): ma poi contribuì pure a svelare le prime ipocrisie e corruttele dell'Italia del dopoguerra. Finì, com'era inevitabile, a pestare i piedi a troppa gente. Rarissimo caso di giornalista a venir davvero chiuso in galera per diffamazione, dopo la scarcerazione non fu più lui. In guerra era stato prigioniero in un lager tedesco: ma da lì era uscito in piedi. Dal carcere di San Francesco a Parma, nel 1955, uscì invece in piedi solo nell'onore e nella dignità: ma piegato nel morale e perfino nel fisico.
«L'Italia meschina e vile», come scrisse Baldassarre Molossi grande direttore della Gazzetta di Parma, gli aveva voltato le spalle. Il dispiacere gli spezzò il cuore: due infarti, il secondo fatale. Da mezzo secolo Giovannino Guareschi riposa nel cimitero dei galantuomini, un luogo poco affollato.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.