Siamo nell'agosto del 1965. George Balan, musicologo, si trova a Sibiu, città della Transilvania, a casa di un amico. Ha trentasei anni. Svincolato dal giogo intellettuale marxista, è però ancora «alla ricerca di una ragion d'essere, di una saggezza capace di rispondere alle aspirazioni, di un ideale cui valga la pena dedicarsi».
In quel noioso pomeriggio gironzola per la casa dell'amico, stracolma di gingilli e vecchi mobili. Riesce a scovare un solo libro, dietro una stufa. Privo della copertina e di tante pagine, intuisce che serve per accendere il fuoco. Lo prende in mano e inizia a leggere quel poco rimasto. Non è possibile risalire all'autore ma, in quell'imponente miscuglio di filosofia e letteratura, poesia e saggistica, sin da subito avverte una «intensità luminosa di pensiero e di espressione, una magia metaforica dello stile».
E allora Balan vuole assolutamente conoscerne l'autore. L'enigma viene svelato dopo un intero pomeriggio e una nottata. Su una pagina, a caratteri molto piccoli e per ragioni tipografiche, c'è scritto: Emil Cioran, Libro delle lusinghe.
Di lui aveva sentito parlare perché in quel periodo il regime lo aveva incluso fra i disertori e i traditori. E la scoperta di quelle poche pagine dietro una vecchia stufa, insieme al fatto di essere inviso al potere, rende Emil Cioran una ossessione. E così fa di tutto per venire in possesso di ogni pubblicazione risalente al periodo rumeno, seppur conscio delle difficoltà visto che, sotto il regime, ogni cittadino accorto distruggeva la letteratura sospetta.
Gli balena l'idea di scrivere un libro su di lui. Ma poi George Balan va oltre l'iniziale entusiasmo. Vuole contattare Cioran, chiedergli informazioni e conoscerlo. Gli invia una lettera e questi gli risponde subito, meravigliandosi che qualcuno in Romania osasse avvicinarsi a uno «scrittore appestato» sotto sorveglianza della Securitate, il servizio segreto della Romania comunista.
Da allora inizia uno scambio epistolare intenso. Cinquantatré missive tra il 1967 e il 1992, che ora vengono pubblicate integralmente da Misesis (Tra inquietudine e fede, pagg. 148, euro 10, da domani nelle librerie) grazie alla curatela di Antonio Di Gennaro.
Nel 1967 avviene il primo incontro. Cioran accoglie Balan nella sua mansarda in rue de l'Odéon, a Parigi. È un uomo cordiale da cui non traspare alcuna traccia oscura dell'esistenza, scrive Balan. E poi lunghe passeggiate e visite sorprendenti, come quella al monastero benedettino di Solesmes, in cui i due si recano per i Vespri. Sensazioni tutte commentate nelle lettere dove Cioran ne approfitta anche per discorrere del percorso di studi teologici di Balan, stigmatizzato nelle finalità ma, in fin dei conti, approvato.
Il secondo incontro è dell'aprile 1968. Balan aveva ottenuto una borsa di studio in un istituto di Friburgo, nella Foresta Nera, circostanza che scatenò il sarcasmo di Cioran: «Che la vicinanza di Heidegger e della sua superba ebbrezza verbale non le sia nefasta». Ma il 1968 è anche l'anno della contestazione che Cioran scruta dalla finestra: «Al di là degli studenti completamente privi di esperienza politica c'è una mancanza di buon senso semplicemente stupefacente (...), un comportamento infantile, una capacità di infervorarsi che sfiora la digressione e persino il delirio» (15 giugno).
Tra i due si instaura una strana comunione intellettuale che perdura fino alla morte di Cioran, avvenuta a Parigi il 20 giugno del '95, il quale, in una lettera del febbraio 1983, così la spiega: «Mio caro amico, se fosse rimasto in
Romania, non avrebbe potuto, sorretto dall'ortodossia, che soffrire un fallimento dopo l'altro, e ciò avrebbe portato a un'interminabile crisi depressiva. Possiamo realizzarci solo in mezzo al vuoto occidentale, squassandolo».
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