Maestro del teatro e della danza, mimo, attore, ballerino, coreografo, regista e pure pittore. È stato tutto questo Lindsay Kemp scomparso ieri, a 80 anni, nella sua residenza di Livorno. Un inclassificabile che alla domanda su come poterlo definire, rispondeva: «Un poeta». Poeta e musa al tempo stesso, fonte di ispirazione di una serie di artisti che frequentando i suoi spettacoli e poi lezioni di danza impressero una svolta alla propria carriera. Il caso emblematico di David Bowie che imparò da Kemp, incontrato nel 1966, a stare sul palco, a comunicare con la gestualità. Le influenze - anche vicendevoli - si allargarono a tanti grandi della storia, delle rispettive e diverse storie: da Rudolf Nureyev a Mick Jagger, Ken Russell, Peter Gabriel, Kate Bush.
Nato a Cheshire, sull'isola di Lewis il 3 maggio del 1938, Lindsay Kemp aveva tentato di onorare il DNA inglese, e ancor prima le tradizioni marinare di casa, frequentando l'accademia navale, però virò presto verso gli studi d'arte frequentando il Bradford College. «Fu mamma la prima persona a portarmi a uno spettacolo teatrale. E come tutte le mamme sagge non voleva che frequentassi una scuola di teatro perché temeva che avrei fatto la fame», ebbe a confessare. E così fu: optò per il teatro e fece la fame. Ma fatale fu l'attrazione per l'arte nelle sue molteplici diramazioni. zCome tutti i bimbi, nacqui danzando. Poi la gente smette, io ho continuato anche perché la danza è la strada più veloce verso la felicità», amava dichiarare a quanti gli chiedessero cosa fosse per lui la danza. E ancora, a ribadire l'inevitabilità della sua carriera: «Sono un intrattenitore nato».
Da visionario e anticipatore dei tempi, non trovava quel che sentiva, così lo creò da zero. Ventenne fondò la Lindsay Kemp Dance Mime Company grazie alla quale poter sintetizzare i diversi linguaggi e dare corpo a spettacoli che hanno poi suscitato un mix di scandalo e meraviglia. Spettacoli come Flowers, Nijinsky, Mr Punch, Salomé, A Midsummer Night's Dream. L'immagine più iconica è legata alla maschera di Pierrot. In Italia si fece conoscere proprio con Flowers grazie a Romolo Valli che aveva assistito allo spettacolo a Londra, quindi lo volle a Roma. Iniziava così il lungo rapporto con il nostro Paese, con un'Italia cui si deve l'invenzione dell'opera («È uno dei miei grandi amori») e della commedia dell'arte, generi finiti nel mondo di Kemp. In tanti vollero esplorare il mondo di Kemp, anche la Hollywood di Mia Farrow o Sandy Powell. Ma fra gli «allievi» chiave - come si diceva - c'è David Bowie che assimilò la lezione del maestro fino ad allestire uno spettacolo rock di forza dirompente, nuovo: The Rise and Fall of Ziggy Stardust. E fra i mimi c'era lo stesso Kemp che a distanza di anni ammise che la folgorazione fu reciproca perché la visione di Bowie si eran fusa con quella del proprio teatro d'avanguardia, ma al tempo stesso «quella musica mi portò in un mondo molto più rock, più drammatico». Genio assimilatore, Kemp fu sempre riconoscente a Marcel Marceau, padre spirituale, amico e insegnante. «Mi diede le mani» ricordava, mani da boxeur finalmente educate a fluttuare come farfalle. Da lui imparò l'arte del mimo moderno di Étienne Decroux, ma anche l'arte del silenzio, e l'immobilità. «Perché un'immobilità carica di emozione vale cento gesti atletici».
Era legatissimo all'Italia. E il suo cuore batteva a Livorno. «Tutti mi chiedono: perché Livorno? Semplice, c'è il mare. Mio padre era un marinaio, è morto fra le onde». E quel porto lo faceva sentire bene.
Lì, continuava a lavorare, con corsi di teatro e danza, alternati a masterclass in università, ideava spettacoli, in queste settimane stava lavorando a un laboratorio performativo per il teatro Sociale di Como, era atteso per settembre. C'era spazio per revival: il caso di Kemp Dances, in tour in questi due ultimi anni. Nato danzando, ha dato l'addio alle scene della vita danzando.
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