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Collura, un pittore con occhio da ladro

Il giovane artista ha stile ed eleganza e dice di non ispirarsi a nessuno

Collura, un pittore con occhio da ladro

Poi, passeggi nel cuore di Palermo, dopo esserti lasciato incantare dalla magnificenza della Cattedrale e dei suoi argenti lucidatissimi, e ti fai agganciare da una vetrina particolare, nella quale impera, su una poltrona dorata più che kitsch, un quadro che ti ferisce l'anima per soggetto e pennellata. La mattanza. Una denuncia quasi fotografica di un atto umano sconsiderato che qui è reso elegante nella sua spietatezza. Ai suoi piedi, un'Italia stritolata da un dragone cinese. Alle loro spalle, un atelier tappezzato di tele colorate con ironica cattiveria da Francesco Collura.

E, dunque, ti fermi a chiacchierarci, con questo giovanissimo pittore, e ti rendi conto che l'arte viaggia ad alta velocità, nei tempi della rapidità cronachistica del web. Non c'è uno stile riconducibile al passato, sulle tele di Collura. E lui stesso dice di non ispirarsi coscientemente a nessuno. Ma lo Stile, c'è! Eccome, se c'è! Quando hai finito la visita, i suoi quadri li riconoscerai ovunque. E ne riconoscerai eventuali imitazioni. Perché qui c'è quel colore in più, che è l'anima di un giovanissimo palermitano disincantato e arguto che guarda il mondo e la vita con occhio da ladro. Ruba l'anima a ciò che l'ha e la ripropone, mascherata e smascherata, ingoffita e grottesca.

Ecco il colore in più: la sua folle intelligenza, capace di immortalare la quotidianità, addobbandola. Se un parallelo artistico lo dovessi fare per obbligo contrattuale, allora sceglierei la vicinanza all'arte dei maestri pittori dei carretti siciliani: la sfrontata verità senza velo di pudore. Che se ne fotte del giudizio del saccente, per poter godere della vicinanza della gente qualunque. Collura definisce i suoi quadri dei «resoconti» della giornata, che «di notte mi si scagliano in testa come fotografie. Sono lì, già pronti. Ed io non devo fare altro che prendere in mano i pennelli e i colori da mischiare». Istintivo come la violenza tragicomica che, nelle sue tele, non manca mai.

Anche l'occhio lungo dell'artista è spesso materialmente presente nelle figure dipinte. Un unico occhio, tanto grande da invadere lo spazio esterno alla figura stessa, e che rappresenta «la percezione univoca che abbiamo della realtà». In questo fa paura, il giovane Maestro: nella sua coraggiosa spontaneità. Parla da filosofo, arrossendo se glielo fai notare.

L'atelier si trova in via Mariano Stabile 135.

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