di Pedro Armocida
D a oggi c'è un motivo in più per lamentarsi del cinema italiano. Ed è paradossale. Al festival di Cannes nella prestigiosa Semaine de la critique, la sezione autonoma dei critici francesi, trionfa un film italiano, Salvo di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che conquista i riconoscimenti principali, il Gran Premio e quello Rivelazione. Tutto bene quel che finisce bene per questo film che unisce in maniera inedita elementi realistici (la Mafia) con quelli magici (un miracolo)? Manco per niente. Perché il film d'esordio dei due promettenti registi in Italia non ha ancora trovato un distributore. Mentre è stato venduto in paesi come il Brasile e l'Australia e naturalmente anche in Francia che lo ha coprodotto insieme ai nostri Fabrizio Mosca e Massimo Cristaldi e che non è certo così stupida da vanificare gli investimenti. Invece noi continuiamo a farci del male. Qualche settimana fa scrivevamo del nostro cinema affetto dalla sindrome autolesionistica di tafazziana memoria. Un sistema distributivo impazzito che non riesce a trovare un'aurea mediocritas. Perché è evidente che si nasconde qui l'anello debole della filiera cinematografica. Che, per Salvo, nonostante i tempi biblici ha funzionato quasi alla perfezione: nel 2008 i registi ricevono una menzione speciale per la sceneggiatura al Premio Solinas dove incontrano i produttori e giurati Massimo Cristaldi e Fabrizio Mosca. Poi parte il supporto del Torino Film Lab, quello altalenante della Film Commission Regione Sicilia, il finanziamento per le opere prime del Ministero dei beni culturali e il supporto di Eurimages e del programma Media.
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