La Commissione Ue? Tiene in ostaggio la libertà economica

Esistono istituzioni contro il protezionismo e senza ruolo politico. Ma sono ostacolate...

Nel nuovo scenario aperto dalla Brexit (e anche dopo l'elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti d'America), quali istituzioni possono meglio coordinare tra loro le diverse società ed economie del Vecchio Continente, così da favorire una fruttuosa integrazione e permettere scambi, cooperazioni e libera circolazione?

Per decenni, e in molti casi ancora oggi, gli europei sono stati prigionieri dell'idea che il solo modo per consolidare un mercato comune consistesse nel costruire, nel corso del tempo, un sistema politico e regolatore unitario. La tesi è che senza Commissione europea e senza direttive, insomma, non vi sarebbe stata alcuna chance di avere un'unica economia, con ampia concorrenza e forte specializzazione: a tutto vantaggio dei consumatori e degli imprenditori.

In realtà, da sempre sappiamo che non è necessariamente così. A metà Ottocento lo sviluppo di una fase di ampia integrazione non venne da accordi tra Stati, ma fu invece l'effetto di scelte unilaterali. In Inghilterra, in particolare, ci si convinse che fosse assurdo sbarrare la strada ai prodotti agricoli francesi o di altra origine: si aprì dunque il proprio mercato senza alcuna contropartita, nella consapevolezza che questo fosse di giovamento alla società britannica nel suo insieme. Le intese sovranazionali, a partire dall'accordo Cobden-Chevallier, vennero dopo.

È in questa direzione che Londra dovrebbe muoversi: aprendosi economicamente all'Europa dopo avere rifiutato di esserle assoggettata sul piano politico.

Oltre a ciò, gli inglesi specie dopo l'ascesa alla Casa Bianca di Trump dovrebbero operare un'analoga apertura verso gli Stati Uniti d'America. Se il Ttip non procede, ora che si è allontanato da Bruxelles il Regno Unito dovrebbe porre da solo le premesse per una maggiore integrazione anglo-americana. Avvicinare Londra a Washington permetterebbe di indirizzarsi verso il mercato unico di una Grande Europa atlantica, che accantoni l'ostilità anti-americana spesso implicita entro il disegno europeista, che non di rado ha interpretato il sogno dell'Europa unita quale terza via tra l'Ovest americano e l'Est russo, tra il libertarismo yankee e il dispotismo post-staliniano.

Per giunta, non bisogna dimenticare che prima di aderire alla Comunità europea il Regno Unito fu il membro di maggior peso dell'Efta (European Free Trade Association), una realtà che promuove il libero scambio in Europa ma che oggi include soltanto pochi piccoli Paesi: la Svizzera, la Norvegia, l'Islanda e il Liechtenstein. Con una Europa a ventisette e quindi priva del Regno Unito, quest'altra Europa incarnata dall'European Free Trade Association (più liberale e meno dirigista, senza apparati burocrati ed estranea a ogni logica redistributiva) potrebbe conoscere una seconda giovinezza.

È chiaro che a Bruxelles si farà tutto il possibile per sbarrare la strada a un'Europa del libero scambio che non voglia assumere un ruolo politico.

Se l'Efta è oggi una piccola cosa, è in primo luogo perché l'Unione non intende lasciar spazio a niente e a nessuno. Ma nel mondo della Brexit e della vittoria di Donald Trump (oltre che del referendum scozzese e del braccio di ferro tra Madrid e Barcellona), davvero tutto è possibile.

CLott

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