Alla metà degli anni Venti, Berlino è un crocevia di spie di complemento, doppiogiochisti, rivoluzionari in servizio permanente effettivo e rivoluzionari in disarmo, esteti armati in cerca di un putsch, guide spirituali in cerca di seguaci da guidare, giornalisti all'inseguimento di uno scoop, critici letterari in astinenza da droga e da editori disposti a pubblicarli.
Per buona parte dell'anno il clima è rigido, ma, complice l'inflazione che ha già fatto del marco carta straccia, piacevole per chi ha valuta straniera da spendere. Così la città è piena di stranieri, anglosassoni soprattutto, che nei cabaret permissivi di quella che resta la capitale della cosiddetta repubblica di Weimar, trovano ciò che in patria suscita scandalo, riprovazione e messa al bando: sesso facile, omo e etero, sballo etilico, paradisi artificiali. Fresca reduce da una Prima guerra mondiale che l'ha vista sconfitta e da un trattato di pace, quello di Versailles, punitivo oltre ogni logica misura, Berlino è il ricordo di un Reich che non esiste più, ma che si scontra con la realtà di un esercito che la pace ha sorpreso fuori dei confini tedeschi e che quindi ritiene di non aver perso lui la guerra, ma gli odiati politicanti che se la sono fatta sotto e hanno tradito. Ed è proprio l'esercito, del resto, ad aver fatto subito piazza pulita dei conati rivoluzionari del bolscevismo autoctono, lo spartakismo, illusosi che dopo Mosca con la sua rivoluzione d'Ottobre adesso fosse arrivato il turno dell'Occidente. I militari dei Corpi franchi per la verità non guardano con simpatia nemmeno chi cerca di ripristinare un'economia e un sistema politico di matrice liberale: non per niente un loro commando ha fatto fuori Walter Rathenau, l'unico uomo politico tedesco in grado di tirar fuori la nazione dal caos politico-economico in cui è finita. Sognano una rivincita bellica, rivogliono la Grande Germania che fu: tempo ancora qualche anno e Hitler, a cui un colpo di Stato fallito ha insegnato qualcosa, gli sembrerà il Führer adatto alla bisogna. Nell'attesa però occorre vigilare, perché l'Urss non ha ancora rinunciato all'idea di esportare la propria rivoluzione in campo altrui e l'Est Europa rimane un campo minato dove gli artificieri del bolscevismo possono comunque addestrarsi e insomma, per chi ha fatto della militanza politica una ragione di vita, la Berlino dell'epoca è un luogo speciale, una sorta di battesimo del fuoco e della fede. Passeranno da lì il trotskista per amicizia Blumkin, il trotskista pentito Radek, il genio della controinformazione Münzenberg, il comunista seduttore dalle mille vite Otto Katz... Nessuno di loro cadrà vittima del piombo capitalista, ma ad eliminarli sarà il «fuoco amico» comunista, purghe, processi, esecuzioni sommarie, tragiche biografie nella tragedia ideologica che le contiene e che è stato il Novecento europeo.
Nel 1926 a Berlino c'è anche Amadeo Bordiga, o almeno così ci racconta Diego Gabutti nel suo Un'avventura di Amadeo Bordiga (Milieu edizioni, pagg. 245, euro 16,90), rielaborazione di un libro che nel 1982 aprì in Italia la strada del cosiddetto «noir politico», divenuta in seguito un'autostrada con più tamponamenti e incidenti mortali che corse vittoriose da casello a casello. Ciò che salvò allora Gabutti dal frontale contro la storia, è ciò che ancora adesso rende il suo libro godibile: uno stile stralunato, con l'andatura del fumetto colto, la conoscenza precisa dei fatti e dei personaggi messi al sevizio di una rielaborazione in forma di romanzo dove il verosimile diventa vero e il vero può sembrare inventato. Il merito è anche del personaggio intorno a cui ruota l'intera vicenda, quell'Amadeo Bordiga che, trentenne, fu con Gramsci il fondatore del Partito comunista d'Italia, nato dalla scissione socialista del '21, ne fu il primo segretario, venne sconfitto proprio nel 1926 al congresso di Lione, espulso da partito nel 1930 e poi, fino alla sua morte, nel 1970, cancellato praticamente dalla memoria storica del comunismo nazionale e internazionale. Tutto ciò, nota Gabutti, gli permise di essere «un comunista senza colpa», estraneo al «comunismo pop, sdolcinato e genocida insieme», estraneo alle «catastrofi socialiste e nazionalsocialiste che devastarono il XX secolo».
Antidemocratico quanto antimoderno, marxista a suo modo «scientifico», prototipo per certi versi di quell'«estremismo infantile» di chi si aspettava che la rivoluzione venisse sua sponte, una sorta di reazione chimica da attendere e che non poteva essere forzata, Bordiga resta una delle figure più calunniate e meno conosciute della sinistra italiana, uno condannato ideologicamente a morte per tutta la vita... Come ha però osservato un comunista eterodosso e intelligente quale Costanzo Preve, il crollo della tradizione gramsciano-togliattiana, che ancora nella seconda metà del Novecento era convinta «di nuotare nella grande corrente vincente della storia, sarebbe stato mille volte più patetico e grottesco di quanto poteva esserlo il minoritarismo dei gruppetti bordighisti accusati di astrattismo e di schematismo dottrinario»... Negli scritti polemici di Bordiga, Dialogato coi morti e Dialogato con Stalin, nota ancora Preve, siamo di fronte alla condanna dello stalinismo come capitalismo di Stato, a quella dell'antifascismo come fuffa retorica per non fare la rivoluzione, al rifiuto della rivolta studentesca sessantottina in quanto sterile putrescenza borghese, a puntuali analisi sui disastri ecologici del capitalismo, il tutto con uno stile personale «fra Benedetto Croce e Totò, con lontane ascendenze di Gianbattista Vico».
In Un'avventura di Amadeo Bordiga, Gabutti sceneggia da par suo lo storico incontro che proprio nel 1926 porterà il leader in disgrazia del comunismo italiano a baruffare con quello Stalin che si avvia a ingoiare tutto ciò che resta dell'internazionalismo proletario nella logica del socialismo in un solo Paese, il suo naturalmente: «Avete espropriato la borghesia di sigari, ananassi, champagne e fagiani. E chiamate 'sta roba socialismo, scafessi che siete»... È il momento culminante di un percorso che ha preso il via nella capitale tedesca, dove stalinisti e trotskisti, polizia di Stato e giornalisti free lance danno la caccia a un carteggio Bismark-Marx scottante per le sue implicazioni ideologiche nascoste e per il reiterato disprezzo proprio nei confronti della Russia, l'unica nazione dove la rivoluzione non sarebbe mai potuta né dovuta scoppiare...
Intorno a questa caccia, Gabutti mette in scena un balletto di figure all'epoca presenti sul palcoscenico berlinese: il reduce fiumano Guido Keller, Gurdjieff, il più mistico guru di tutti i tempi, il giovane giornalista Edgar Snow, futuro laudatore di Mao e della Lunga marcia... Si diverte anche a fare di un eroe di carta, Nero Wolfe, una figura in carne e ossa, e lo fa a ragione, perché da Sherlock Holmes ai Tre moschettieri, a Kim, spesso c'è più verità nei romanzi che nelle vite vere.
Per Rex Stout, che di Wolfe è l'inventore, o meglio, per dirla sempre con Gabutti, «il biografo ufficiale», quello sarà solo il primo dei duelli con il comunismo...Un'avventura di Amadeo Bordiga è una sarabanda divertente e appassionata e insieme un omaggio a un'epoca disperata eppure feconda, a suo modo irripetibile.
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