Poi uno dice la libertà. Da quando è discografico di se stesso (sua l'etichetta Tattica), Renato Zero sembra lo Zero di una volta: sforna dischi uno dietro l'altro (il nuovo Amo capitolo II segue di sette mesi il primo capitolo) e vendemmia sold out a raffica: «Sono diventato capocomico e ci ho guadagnato in resistenza e lucidità» dice lui nell'hotel di Milano dove, decenni fa, viveva insieme con Loredana Berté in attesa di un contratto. «Sono tornato a quando avevo vent'anni e stavo a sonà in una cantina foderata di cartoni porta-uova per attiture i suoni». Sorride. Fa battute. È incazzato a dovere: «Dopo tutto 'sto tempo i mass media non riconoscono ancora i miei risultati», dice a muso duro anche se mente sapendo di mentire perché trovatelo un altro come lui in Italia: è un brand che vuol dire qualità, ha un pubblico fedelissimo e dopo quarant'anni è ancora sulle prime pagine del pop. Cantando. E inventandosi novità. Insomma una lezione a tanti tromboni che sono già venuti a patti con la pensione e buonanotte ai suonatori.
D'altronde, caro Renato Zero, lei guida la rivincita dei sessantenni.
«I miei ultimi risultati sono una vittoria della musica italiana nel suo insieme. Anche se, per la mia generazione, si tratta di una rinvincita amara».
Perché?
«Perché, se continua così, con questa Siae che oltretutto ci rappresenta a tozzi e bocconi, non cresceranno più nuovi Lucio Dalla, ossia artisti che hanno potuto maturare senza essere subito liquidati dalla discografia».
Mica è solo colpa della discografia.
«No certo, qualche cantante si è perso per strada ai vari Festival dell'Unità o dell'Amicizia o dell'Avanti...».
Ah la politica.
«Quando Ravera mi mandò in tv la prima volta, il direttore di Raiuno lo chiamò subito per dirgli: Questo qui mettilo sul treno perché non lo voglio più vedere. Ma alla fine della mia esibizione lo richiamò: Mandalo in onda anche domani sera».
Da allora è rimasto al centro del palinsesto musicale. Facendo di testa sua.
«Alle major non è piaciuto che io abbia dato il cattivo esempio mollando tutto e aprendo un'etichetta indipendente».
Risultato?
«Al di là del fatto che sto meglio, credo di aver contaminato i giovani con un abuso di coraggio».
Frase tipicamente sua.
«La musica non la devono decidere i produttori che dicono non sei sexy, c'hai la gobba e cose del genere. L'unica frase giusta è: Fammi vedè quello che sai fa'».».
Nel disco c'è il brano L'eterno ultimo, una sublimazione di Zero.
«L'eterno ultimo ero io e rischiavo di restarlo per sempre: è la mia lezione ai giovani che dovrebbero essere lasciati in grado di crescere sempre».
Dopotutto anche lei non si fa mancare nulla: questo disco è prodotto da Celso Valli, Danilo Madonia e da un superboss internazionale come Trevor Horn. E in scaletta c'è pure un brano composto dal maestro Armando Trovajoli.
«E a fine novembre uscirà anche Amo capitolo III, una confezione speciale con i primi due cd, un puzzle/poster e un libro nel quale illustro il significato dei testi».
Pensa in grande. Voglia di fare il grande salto?
«Ossia?».
Un tour all'estero?
«Sì, si può dire che lo farò».
Il carrozzone Zero nel mondo.
«Ma non sarà uno spettacolo pizza e fichi. Non voglio che poi si cada nel luogo comunque di quanto è folcloristica l'Italia. Comunque voglio fare le cose passo dopo passo».
Mica può suonare contemporaneamente in tutto il mondo.
«In realtà ho sempre detto che mi piacerebbe prendere di petto prima la Francia poi la Germania e via dicendo. Non voglio fare come i commessi viaggiatori della musica. Io sono vivo come quando ho iniziato».
Faccia un esempio.
«Prima di andare sul palco passo sempre due ore in camerino. Ma non lo faccio per truccarmi. Lo faccio per ripulirmi e poi salire sul palco come realmente sono, come il Renato Zero che tutti vogliono vedere e che giustamente si aspettano, e che diamine».
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