Ad apertura settimana, un film clinico-scatologico, con predominanza di WC, purghe e acque nere reflue che tracimano con inutile sgradevolezza visiva, fa saltare il coperchio. E Pappi Corsicato, ieri in concorso con Il volto di un'altra, film girato con il contributo del Mibac, della Regione Lazio e del Süd-Tirol, in collaborazione con Rai Cinema - dunque: denaro pubblico -, fa saltare il coperchio. Fischi di riprovazione e grida di «buffoni, così uccidete il nostro cinema» hanno fatto esplodere, a fine proiezione, un malcontento strisciante da giorni.
Passi per i polpettoni asiatici che mai vedremo in sala; pazienza per il rincaro dei biglietti e la dispersione degli eventi nei luoghi più impervi da raggiungere, ma la misura stavolta pare colma perché il merito artistico latita. Manca, cioè, l'elemento principale per essere ammessi al primo livello d'una gara internazionale, che per forza è partita col piede sbagliato, tra ritardi, tentennamenti e scarse possibilità economiche. Tuttavia la domanda resta la stessa, da anni: perché lo Stato continua a finanziare film che non piacciono? Peraltro, l'idea de Il volto di un'altra (in uscita a febbraio 2013) non sembrava malvagia, sebbene mutuata da La pelle che abito di Pedro Almodovar: una bella conduttrice televisiva, alias Laura Chiatti, si vede sopprimere il proprio programma, il Bella Show, perché il suo volto ha stancato. Invano il marito chirurgo (Alessandro Preziosi), deus ex-machina della clinica Belle Vie, la rassicura: tra i due, è lui al traino di lei, furibonda star del piccolo schermo («Io mangio i fagioli e tu scorreggi», dice Bella a René: sceneggiatura di Corsicato, Monica Rametta, Gianni Romoli e Daniele Orlando e chissà se si rivoltano nella tomba Age, Scarpelli, Monicelli e D'Amico). Meno male che un sanitario di ceramica, caduto dal camion di un operaio, colpisce in pieno il viso perfetto della bionda showgirl al volante della sua auto.
Da quella disgrazia nascerà un bene: il vanesio René vuol truffare l'assicurazione, gonfiando la portata del danno con una dose massiccia di botox al volto di lei e sarà collasso dei muscoli facciali. Intanto, le belle valli dell'Adige si riempiono di famigliole in cerca di brividi e di reporter a caccia di scoop. Lo spettatore non capisce il perché di tanto ambaradam, visto che il racconto non decolla su una pista precisa. Né commedia spensierata, né denuncia del mondo mediatico, che sull'immagine campa (c'è pure una suora che ricatta il paparazzo, pronto al clic clandestino), Il volto di un'altra cerca di pigiare il pedale dell'estetica nazi in certe scene in bianco e nero: la Chiatti sfoggia una pettinatura anni Trenta e sottane di raso da «telefoni bianchi», i degenti della clinica altoatesina si muovono come soldati hitleriani, le Stuben tirolesi come sospese nell'era della camicia bruna e, in generale, il Sud Tirol sponsor viene fissato in un'immagine stereotipa, tra alte montagne e solitari impagliatori, lesti a imbracciare il fucile. Come va a finire? Come Lars von Trier insegna, un meteorite può salvare il finale: Bella, dopo aver svelato la truffa intorno al suo volto, risale in macchina, un metorite centra l'auto, ma lei, illesa, se ne va per le verdi valli. Titoli di coda e fischi. «Il film nasce da una giocosa riflessione sul contemporaneo e affronta temi che fanno parte del nostro quotidiano, come l'uso della chirurgia plastica, i media, ecc. Per le scene e i costumi mi sono ispirato al mondo della moda e al cinema giapponese, tra glamour e funny horror», spiega il regista napoletano Corsicato,che in realtà qui sognava «Douglas Sirck, Billy Wilder o Hitchcock».
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