Matteo Sacchi
Un viaggio, anzi una serie di viaggi, sempre più surreali, nella follia dello stalinismo. Tutti svolti tra il finire degli anni '40 è dei primi anni '50. Una Polonia dove tutti vengono spiati, una Cecoslovacchia dove Stalin è rappresentato con gli stessi baffoni del vecchio Cecco-Beppe. La mosca del 1950 dove per una battuta è facile ritrovarsi in Siberia, o peggio con una pallottola nella nuca. Sono questi i tempi e i luoghi descritti da Aldo Cucchi (1911-1983) in un piccolo libro-gioiello pubblicato da Il canneto editore (Il mito di Stalin nell'Europa orientale pagg. 64, euro 20). Ma partiamo dall'autore. Aldo Cucchi fu vicecomandante partigiano della Divisione Bologna dopo l'8 settembre, medaglia d'oro della Resistenza. Finita la guerra divenne deputato del Pci. E iniziò a viaggiare oltre la Cortina di ferro. A differenza di molti altri rifiutò di mettersi le mani sugli occhi e di cantare le sorti magnifiche e progressive dello stalinismo.
Come confessò anni dopo in una intervista: «Il titolo di un saggio di Lenin diventò il nostro problema: Che fare? Cominciammo a criticare la pretesa dell'Urss, riconosciuta legittima dai quadri e mai discussa dalla base, di fungere da Stato guida; ci parve insopportabile l'assoluta mancanza di democrazia interna». Era il tipo di critica che poteva finire in un modo solo: il 25 gennaio del 1951 Cucchi si dimise dal Pci. Togliatti in persona decretò la sua morte civile. Iniziò così la sua militanza socialdemocratica. Non è il caso di riassumere qui l'attività politica successiva di Cucchi. Basti dire che nel 1961 pubblicò per il Resto del Carlino la serie di articoli raccolti in questo volumetto appena pubblicato. Ci sono vicende di kafkiana ironia. In Polonia lo invitano ad incontrare dei reduci dalla guerra di Spagna. Ma della guerra non si parla tanto, l'importante è rispondere a tono agli infiniti brindisi in cui si inneggia a «Stalin, maestro e guida dei popoli, artefice del socialismo, difensore della pace». Gli italiani però non sono abbastanza solerti. Il segretario delle associazioni combattentistiche polacche, tale Kowalski, allora si insospettisce. Chiede separatamente ai due membri della delegazione italiana, Cucchi e Barontini, di redarre ognuno un rapporto sull'altro. I due però mangiano la foglia e si mettono a scrivere i rapporti dettandoseli a vicenda. Kowalski li scopre e esplode: «I soliti italiani! Prima amici e poi comunisti! Dov'è la vigilanza rivoluzionaria!». Lo scoprì Kowalski stesso pochi mesi dopo. Venne arresto come controrivoluzionario. Chi aveva scritto il rapporto su di lui lo aveva preso in parola: niente sconti. Ancor più folle il racconto del viaggio in Cecoslovacchia. Dappertutto ci sono strani busti di Stalin. È il dittatore quello ritratto, però i baffi sono stati modificati, assomigliano a quelli dell'Imperatore Francesco Giuseppe (1830-1916) Cucchi alla fine riesce ad ottenere una spiegazione: «Il principio di autorità...
L'imperatore Franz Joseph rappresenta ancora per il popolo l'autorità, la saggia amministrazione, l'ordinato vivere civile e, se necessario, la spietata repressione: Stalin deve esserne...il continuatore». Follia? Leggete le pagine terrorizzanti su Mosca, dove ognuno vede il disastro ma è costretto a tacere. Perché tutti sono potenziali delatori. Anche mogli e figli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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