Così un "Impero interrotto" sogna di riprendersi il mondo

Un saggio di Michael Schuman ci mostra come la Storia vista da Pechino sia molto diversa che vista da Occidente

Così un "Impero interrotto" sogna di riprendersi il mondo

Si scrive Shang Yang ma potrebbe leggersi Niccolò Machiavelli spostato all'epoca dell'antica Roma. Si scrive Zhang Quian ma potrebbe leggersi Marco Polo, nato con qualche secolo di anticipo. Si scrive Ying Zheng ma si potrebbe leggere come crasi tra Giulio Cesare e Alessandro Magno. E ovviamente Zeng He, il grande ammiraglio del Mare Pacifico è Cristoforo Colombo ma con una flotta così grande che se l'avessero data a Colombo il porto di Palos non sarebbe nemmeno riuscito ad accoglierla.

Nessuno di questi nomi vi suona familiare? Allora forse è il caso di leggere L'impero interrotto. La storia del mondo vista dalla Cina (Utet, pagg. 430, euro 25) di Michael Schuman.

Schuman, studioso di relazioni internazionali, mette l'accento su quanto sia difficile capire la politica attuale della Cina se non si studia la Storia dalla prospettiva di Pechino. Se lo si fa, e per noi occidentali significa inoltrarci in un terreno quasi inesplorato, si scopre che il mondo visto da Oriente è molto diverso da come lo rappresentiamo noi. Questa rappresentazione, che va in scena da ben prima che fosse costruita la Città proibita, è essenzialmente una rappresentazione imperiale in cui lo Zhongguo, il territorio al cuore della attuale Repubblica popolare, è visto come il centro di irradiazione della civiltà. Per secoli la cultura nata nello Zhongguo, a partire dalla dinastia Xia si è irradiata incontrando sul suo cammino solo popolazioni con minor alfabetizzazione e cultura. Le dinastie che si sono succedute su quel territorio, passando anche per la grave crisi conosciuta come il periodo degli Stati combattenti (453 a.C. - 221 a.C.) sono sempre state il centro del mondo da loro conosciuto. Vincere o cadere per essere invase dai barbari è sempre stata solo e soltanto - o almeno così l'hanno raccontata i grandi storici come Sima Quian, il Tucidide cinese - una questione di buon governo, di retta gestione dello Stato, in un certo senso di virtù del leader. Mai, per secoli, di confronto con un antagonista davvero alla pari.

Insomma nessuna mitica guerra di Troia dove, in fondo, i nemici sono degni avversari che condividono uno schema di valori. Nessuno scontro Atene - Sparta o Roma - Cartagine, dove entrambi i contendenti sono portatori di ethos diversi ma comparabili.

Che si tratti delle invasioni mongole o della grande unificazione del Paese sotto Ying Zheng (l'imperatore che fece creare i famosissimi guerrieri di terracotta e morì nel 210 a.C.) la storia guardata dalla Cina racconta sempre di un Paese che detiene un primato sociale e culturale. Solo quando lo sfrutta male viene invaso da orde barbariche (l'Europa ha un solo crollo dell'Impero romano, la Cina ha una storia che parla solo di interruzioni e restaurazioni dell'Impero).

E per sfruttarlo al meglio, questo primato culturale, vennero teorizzate sostanzialmente due vie.

La prima è arrivata anche in Occidente: è la dottrina di Confucio (551 a.C. - 479 a.C.) che potremmo considerare, forzando un po' la mano, il Socrate dello Stato di Lu. Per quanto teorico di un dominio forte, tutto centrato su un governo centrale, Confucio teorizza uno Stato etico che, con la sua eticità, porta quasi automaticamente i cittadini verso un comportamento morale. Al cuore di questo pensiero vi è una ricerca di equilibrio che salvaguarda l'autorità ma, sicuramente, non facilita l'arbitrio. Diversa è la così detta corrente di pensiero legista, iniziata con Shang Yang, la cui dottrina portò al trionfo la dinastia Quin. Shang Yang considera la natura umana assolutamente incorreggibile (quasi il machiavellico: «Nel mondo non è se non vulgo»). Ed è il padre dell'autoritarismo cinese. Del colpirne uno per educarne cento. Di un governo centrale capillare e occhiuto che non lasci nulla al caso e che controlli anche «la lunghezza dell'asse dei carri per rendere tutto corretto e uniforme».

Nell'oscillazione del pendolo della politica cinese, l'andare verso il riformismo confuciano o passare rapidamente alla repressione à la Shang Yang, ha probabilmente ancora oggi più influenza del pensiero di Mao o di Deng Xiaoping (o meglio informa più di Marx il pensiero di entrambi). Così come questa sensazione profonda di essere un impero celeste che alla fine risorgerà sempre ha un'influenza duratura sopra la quale il comunismo (più o meno di mercato) risulta essere un po' come la polvere depositata sopra una mela rispetto alla mela stessa.

E i risultati si vedono nel nuovo imperialismo cinese, che agli analisti resta difficile da decifrare. Forse anche perché la storia cinese si studia davvero poco. E anche parlando di globalizzazione ha davvero senso guardarla solo da Occidente e immaginarcela tutta moderna?

Valerie Hansen in La scoperta del mondo. L'anno mille e l'inizio della globalizzazione (Mondadori, pagg. 328, euro 25) racconta tutti i percorsi delle merci che hanno iniziato ad aprirsi sin dal Medioevo.

E di nuovo la Cina risulta al centro di rotte e vie che l'Europa ha iniziato ad utilizzare in pieno dopo il XV secolo. Provare a guardare il pianeta da questa prospettiva orientale non è mondialismo ma un modo di capire come cercare le mosse giuste, ammesso che ci siano con la nuova grande potenza del XXI secolo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica