Cultura e Spettacoli

Così nella bella Fiume esplose la festa perenne della rivoluzione

Studiosi italiani e croati a confronto per capire il senso completo, non di parte, dell'Impresa del 1919

Così nella bella Fiume esplose la festa perenne della rivoluzione

Oltre le belle bella. È questo il titolo scelto da Gabriele d'Annunzio per la sua narrazione delle vicende fiumane, che non scrisse mai. Oltre le belle bella rimase un sogno svanito prima del tempo, e la memoria dell'Impresa attraverso gli occhi di colui che si autodefinì «Principe della giovinezza alla fine della mia vita», fu chiusa insieme ad altri ricordi, pensieri, sofferenze e ideali, all'interno di quel «libro di pietre vive» che è il Vittoriale degli Italiani. A noi, a distanza di cent'anni esatti, il compito di riportarla fuori intera, nella sua immensa complessità, senza quei pregiudizi che dopo un secolo si confermano, purtroppo, ancora in ottima salute. A noi tutti, non solo a noi italiani popolo notoriamente senza memoria ma anche ai croati, cui quella memoria è stata sempre negata, occultata.

Il 5 settembre, quando cent'anni prima - nel 1919 - i sette giurati di Ronchi andavano e venivano dalla Casetta Rossa di Venezia per sciogliere le ultime esitazioni del Vate e trasformarlo fatalmente in Comandante, al Vittoriale viene issata per prima la bandiera croata sulle note dell'inno di Mihanovie poi il tricolore. Sono le dieci di mattina. Tutti, nella piazzetta dalmata, cantano l'inno di Mameli, si guardano, si stringono la mano, tutti sentono che sta per accadere qualcosa di unico: nei tre giorni di convegno studi sull'Impresa di Fiume, qui al Vittoriale degli Italiani, a Gardone Riviera, siamo tutti chiamati storici di parte italiana e croata, giornalisti, letterati, studiosi, semplici appassionati a trovare la formula alchemica per estrarre da quelle pietre vive la storia intatta e completa dell'Impresa, non solo nei suoi eventi ma nello Spirito che l'ha resa immortale. Perché non esiste altro momento della storia italiana ancora in grado di incendiare a tal punto gli animi, creare zuffe verbali e scontri dialettici come si sono visti in questi giorni: l'«Impresa» par excellence, contesa fin dal giorno della sua tragica conclusione, prima temuta dal nascente fascismo e poi da esso inglobata negli anni del consenso, in seguito sepolta, rimossa, ma scivolata come un fiume carsico nella memoria storica italiana, finché Renzo De Felice, in un giorno degli anni di piombo, non l'ha riportata alla luce come una pietra preziosa dalle mille sfaccettature, benché incrostata dai risentimenti e le incomprensioni del secondo dopoguerra. Nei quarant'anni dalla (ri)scoperta defeliciana molto si è portato ancora alla luce, ma in questi tre giorni al Vittoriale, per la prima volta a grande merito del presidente Giordano Bruno Guerri la narrazione si è confrontata anche con l'altra parte: Vjeran Pavlakovic ha mostrato i giornali jugoslavi dove il Vate era rappresentato una volta come un Don Chisciotte, un'altra come un clown sanguinario (assetato di Sangue Morlacco, diremmo), Natka Badurina non senza, purtroppo, qualche inopportuna scivolata nel politicamente corretto decontestualizzato ha presentato documenti e scritti di chi l'Impresa l'ha subita. Il tutto si è intrecciato con le testimonianze dei legionari letterati presenti a Fiume, illustrate dal valente Carlo Leo, non solo dei più famosi come Giovanni Comisso o Henry Furst, ma anche di figure minori come Maria Vitali che amava farsi chiamare «la fidanzata dei morti» e i suoi struggenti scritti del Natale di Sangue.

Prima di quel giorno, tuttavia, Fiume visse in una festa perenne, scaldata dall'inestinguibile fuoco rivoluzionario di mille tendenze, spesso non ancora accademicamente contrapposte: bolscevichi, fascisti della prima ora, anarchici, sindacalisti rivoluzionari, repubblicani (delineati magistralmente da Paolo Cavassini), socialisti, libertari e femministe. Oltre all'esposizione della ormai iconica Claudia Salaris, cui si dà merito, tra l'altro, di essere stata la prima e la più efficace storica a occuparsi della rivoluzione come festa e della festa come rivoluzione, nonché del ruolo di primo piano delle donne nella Fiume dannunziana, spicca la voce di Simonetta Bartolini autrice di Yoga. Sovversivi e rivoluzionari a Fiume appena pubblicato dall'editore Luni che ha evidenziato tendenze assai contemporanee nel gruppo di Keller e Comisso, come l'antiparlamentarismo, l'antipartitismo, l'antieuropeismo e l'opposizione secca al primo esperimento di atlantismo a egemonia anglo-sassone, quale fu la sciagurata Lega delle Nazioni. Su questo punto si è soffermato con efficacia Marco Cuzzi, parlando del ministero degli esteri fiumano (o «degli affari esteriori» come preferiva essere denominato) dichiaratamente antiamericano e antimperialista, del quale rimangono fino ai giorni nostri suggestioni come il terzomondismo, lì adombrato per la prima volta, e la speranza di giustizia per i più deboli in un mondo migliore (buongiorno Sessantotto!).

La fiamma rivoluzionaria e cospirativa dei legionari ci ha continuato a scaldare anche, e soprattutto, fuori dalle mura dell'auditorium, in quei momenti che rendono i convegni ancora più preziosi. Se i pranzi, offerti dalla Fondazione del Vittoriale, si sono sempre tenuti nel suggestivo cavalcavia della piazzetta dalmata (dove si è inaugurata la mostra La città inquieta e diversa, ricca di documenti originali dell'Impresa, come proclami, testate di giornali, manifesti), ogni giorno, a conclusione lavori, ci si ritrovava in uno dei bar di fronte all'ingresso del Vittoriale. Lì, tra negroni e prosecchi, si proseguiva instancabili nell'evocazione e nella discussione, ogni giorno più infiammati da quello stesso spirito che aveva albergato nei legionari. Si sono strette amicizie e macchinate cospirazioni, si sono approfonditi argomenti e tirati fuori di nuovi da quell'urna inesausta che è l'Impresa, scivolando verso la notte, anche profonda, senza sonno né stanchezza. Per non dormire.

L'ultima sera tempus fugit! - ci siamo ritrovati ancora una volta nell'auditorium, sotto le ali del velivolo dannunziano, per assistere allo spettacolo Il piacere di Fausto Costantini, interpretato da Debora Caprioglio, che ha concluso anche idealmente il viaggio nelle pietre vive. Lì il Comandante, il poeta-soldato, è tornato a chiudersi su se stesso come l'uroboro della bandiera fiumana, tornando ai suoi primi anni, a quel decadentismo della belle-époque fatto di damaschi, velluti e contesse in corsetto. La Caprioglio ha interpretato con profondo trasporto la parte di Elena Muti lasciata dallo Sperelli, «perché le parole di d'Annunzio mi hanno sedotta fin dal primo momento», ha dichiarato. «Ho visitato il Vittoriale stamattina per la prima volta ha aggiunto e confesso che è stato straordinario recitare qui, con le sue parole. Qui l'atmosfera è unica, è come se d'Annunzio fosse penetrato nella mia anima». Anche l'attrice è stata pervasa dallo Spirito emanato dal libro di pietre vive, come noi tutti, come quel manipolo di irriducibili che mi ha trasportato ormai a notte fonda in un altro bar di Gardone a bere e a parlare di uscocchi e morlacchi. Perché l'Impresa di Fiume ha iniziato solo ora a rivelare tutto di sé.

Perché, come ebbe a dire il Comandante durante una cena coi legionari all'Ornitorinco, «vi sono molte aurore che ancora non nacquero».

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