Giovanni Gavazzeni
L'eco sollecitato dal fioccare di interviste e comunicati indirizza l'attenzione generale sul fatto che l'opera inaugurale della stagione scaligera, Madama Butterfly di Giacomo Puccini, sarà presentata nella versione «originale». Un fatto che dovrebbe rendere un po' meno mondana la serata musicale più mediatica dell'anno. Ricordiamo che quella prima versione, presentata alla Scala il 14 febbraio 1904, dopo un lavoro preparatorio meticoloso e con una messa in scena moderna, conobbe un fiasco solenne. Puccini decise di ritirare l'opera e iniziò un lungo processo di revisione. Tre successive versioni condurranno alla versione corrente. La trionfale resurrezione di Butterfly si iniziò al Teatro Grande di Brescia, il 28 maggio dello stesso 1904, protagonista un soprano drammatico, Salomea Krusceniski, accanto al fascinoso tenore Giovanni Zenatello, uno dei superstiti del fiasco scaligero. Poi venne la seconda versione per il Covent Garden di Londra, il 10 luglio del 1905, dove le tre parti principali erano sostenute dal trio d'assi formato ancora da un soprano drammatico, Emmy Destinn, con i divi Enrico Caruso e Antonio Scotti. E infine venne la decisiva versione per l'Opéra-Comique di Parigi, il 28 dicembre 1906, dove la sofisticata messa in scena del direttore Albert Carré esaltò le qualità della moglie Marguerite Giraud.
Abbiamo già segnalato che nel corso delle revisioni Puccini operò per via di levare delle 370 battute eliminate nel complesso, 126 caddero a Brescia, 52 a Londra e 192 a Parigi. A fine trattamento fu attenuata l'antipatia del personaggio maschile, l'ufficiale di marina F. B. Pinkerton, che non perdeva occasione per manifestare la superiorità a stelle e strisce durante il banchetto nuziale del primo atto. Questi particolari bozzettistici cassati dall'autore li risentiremo tutti alla Scala di Milano. Ma sentiremo anche parti che Puccini rifece, come l'ingresso di Butterfly. Il volo della farfalla nipponica verso la sommità della collina che «sale lungo sei tonalità, ognuna sovrastante l'altra di un tono intero, fino al compiaciuto indugio sull'altura raggiunta» solo nella versione corrente è accompagnata da «figure melodiche adeguate». Questa è l'opinione di uno dei massimi studiosi di Puccini, Fedele d'Amico, quando ascoltò la prima Butterfly alla Fenice di Venezia nel 1982. Allora Eliahu Inbal diresse la prima versione e quella definitiva con compagnie e in serate diverse, dando la possibilità concreta di soppesare le varianti. D'Amico riteneva, per esempio, che la soppressione della sezione discorsiva del duetto d'amore fosse la «perdita di un incastro prelibato», mentre l'inserzione nel finale della celebre melodia tenorile Addio, fiorito asil confondesse i connotati di Pinkerton e del suo facile vangelo di seduttore.
Il critico, dopo l'edizione veneziana, alla domanda su quale delle versioni fosse preferibile scriveva che entrambe raggiungevano un'immagine: la prima in maniera «dilungata e tortuosa»; la seconda «più rettilinea». L'ascolto diretto dissolverà pre-giudizi o confermerà giudizi?