Nella vasta produzione di Isaac Bashevis Singer ci sono due romanzi fratelli. Ma non gemelli. Uno è alto, slanciato, meditabondo e di temperamento malinconico; l'altro è basso, rotondetto, ironico e di temperamento sanguigno. Nati nella stessa nursery del The Jewish Daily Forward, il quotidiano degli ebrei newyorchesi, li separano dieci anni: il primo apparve fra il gennaio 1957 e il gennaio 1958; il secondo fra il dicembre '67 e il maggio '68. Dal loro padre ebbero imposto lo stesso nome: Hertz.
Hertz Grein è infatti il principale protagonista di Ombre sullo Hudson, ed Hertz Minsker è proprio lui, Il ciarlatano. Comparso in prima edizione mondiale nel novembre 2019 (in Italia da Adelphi), Il ciarlatano, cioè il fratello minore, ha tratti somatici e caratteriali corrispondenti a quelli di Ombre sullo Hudson, ovvero il fratello maggiore. Oltre che, ovviamente, a quelli del papà. Sempre di un ebreo polacco intellettuale e indeciso a tutto, si tratta. Sempre a New York, siamo. Sempre con tre modelli di donne che presentano, in entrambi i libri, qualcosa che ricorda vagamente le tre Streghe di Eastwick di John Updike, abbiamo a che fare. E sempre un Dio più rimproverato che riverito aleggia fra le pagine. È un piacere leggere o rileggere Ombre sullo Hudson (ora riproposto da Adelphi, pagg. 633, euro 24, traduzione di Valentina Parisi) dopo aver letto Il ciarlatano: lo stesso piacere che si prova quando si trova o si ritrova il fratello maggiore di un tipo tutto sommato simpatico, anche se non proprio da prendere a esempio, in attesa del «Mondo a venire»...
Bastano le prime due pagine per riconoscere l'imprinting familiare. Dove nel Ciarlatano avevamo l'immobiliarista di successo Morris Kalisher, qui abbiamo un altro pezzo grosso in tema di affari, Boris Makaver. Però il respiro, lo si comprende subito, è più ampio, e le acque in cui stiamo per essere immersi sono lente e limacciose proprio come quelle dello Hudson. Al secondo paragrafo, ecco la sommaria ma promettente presentazione, di stampo quasi russo, tolstojano, di nove attori in scena. E, alla quarta pagina, ecco il bozzetto del Nostro: «Hertz Grein aveva una famiglia, ma apparteneva a quella categoria di uomini che quando fanno visita agli amici lasciano a casa la moglie». Come sempre negli scrittori di qualità, è il particolare a fare la differenza. La signora Leah Grein, infatti, è a casa, ad arrovellarsi sulle seriali infedeltà del marito. E non sa che proprio in quelle ore, in quei minuti di quella sera d'inverno del 1947, in casa di Boris Makaver ne sta per subire un'altra, quella che nel romanzo avrà la funzione della palla di neve che diventa slavina.
Ma, da parte sua, Hertz non sa (ancora) quanto abbia ragione la Gemarah là dove dice: «Se hai preso molto, non hai preso nulla». Lui è abituato a prendere, per capriccio erotico o sentimentale («Chi sapeva con esattezza dove finisce il desiderio e comincia l'amore?», si chiede), però non sa tenere. Troppo superficiale o troppo ambizioso? Troppo instabile o troppo profondo? «Ciò che lui cercava non esisteva e non poteva esistere. Voleva il timore del cielo senza dogmi, la religione senza rivelazione, la disciplina senza divieti». Dallo studio della filosofia a quello dei titoli di Borsa, dall'amante fissa a quella occasionale, dal senso di onnipotenza all'auto denigrazione. Grein è, drammaticamente, ciò che suo fratello, il ciarlatano Minsker, è grottescamente: un pendolo che oscilla incurante del tempo che passa e che lo sta portando rapidamente dalla maturità del quasi cinquantenne all'imminente vecchiaia.
Il mondo che Singer gli apparecchia intorno è popolato da integerrimi professori presi in ostaggio dallo spiritismo, medici tormentati da colpe inestinguibili, pie donne attratte dai portafogli gonfi, altre donne molto meno pie che si comportano come ragazzine senza giudizio, falliti che incolpano il mondo intero della loro inettitudine, attori cinici e bari, giovani che a vent'anni già hanno smarrito la voglia di vivere. E poi, come sempre quando si parla di ebraismo, ci si mette anche l'interpretazione dei testi sacri, a complicare le cose. «Gli tornò in mente l'ingiunzione della Gemarah: Quando un uomo è sopraffatto da un'inclinazione malvagia, deve vestirsi di nero, andare là dove nessuno lo conosce e fare ciò che il suo cuore desidera». Intorno, mentre dall'altra parte del mondo sta per nascere lo Stato di Israele, una New York crepuscolare che ricorda quella di Crimini e misfatti di Woody Allen assiste distrattamente alle vicende di questa enclave polacca che mordicchia la Grande Mela senza trovarla di proprio gradimento.
Un anno dopo la serata in casa Makaver da cui tutto ha avuto inizio, è ancora Boris, ultrasessantenne ora padre di un bimbo al suo primo compleanno, a invitare a cena quanto è rimasto di quella non allegra compagnia. Nonostante la lieta circostanza, pensa agli errori commessi negli ultimi mesi. E al vecchio detto: «Un polacco rinsavisce quando il danno è fatto».
E il Nostro anti-eroe Hertz Grein? Da qualche parte, indossando il tellit e i tefillin, carezzandosi la lunga barba grigia, medita sulla Torah, «l'unico insegnamento efficace che abbiamo su come imbrigliare la belva umana».
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