Anno 2247. Gli Stati Uniti d'Europa sono nati per superare le sanguinose guerre fratricide del passato. Politicamente l'unione è figlia della tecnocrazia e della Massoneria. La Capitale è Roma. La sede del Parlamento è San Pietro. La religione ufficiale è una teosofia che vada bene per tutti, atei inclusi. I pochi cattolici rimasti sono scappati fuori città e vivono nascosti come ai tempi delle catacombe. L'unione aveva scelto il comunismo. Il sistema economico però si è rivelato disfunzionale e ha portato al potere un autocrate, aspirante dittatore. Gli unici oppositori sono i militanti del... PD.
Tranquilli: è il Partito Dinamico, futurista e reazionario. Il Partito Dinamico crede che il pacifismo forzato degli Stati Uniti d'Europa porterà a nuovi grandi cimiteri sotto la luna. La comunità nasce dalla guerra. Presto riemergeranno, più forti di prima, le nazioni. Il Partito Dinamico vuole combattere tra le stelle e colonizzare Giove, pianeta abitato dai Lemuri, umanoidi giganti ma vulnerabili. Gli Stati Uniti d'Europa non sono d'accordo nonostante sia vivace il dibattito sulla razza dei Lemuri e sull'imperialismo terrestre. Sarà necessario far cadere l'autocrate. Una flotta di astronavi è pronta a partire non appena il Continente sprofonderà nel caos. Nel frattempo strani segnali alimentano il timore che la fine del mondo sia vicina: inquinamento, sovrappopolazione, deficit di risorse energetiche, disastri naturali.
La fine del mondo è il titolo del romanzo futurista del conte viterbese Vincenzo Fani Ciotti alias Volt (1888-1927). Fu pubblicato nel 1921. Sorprendente. Volt aveva la sfera di cristallo? Come ha fatto a guardare così in profondità l'Europa? Volt è stato un grande personaggio. Futurista e reazionario come i protagonisti del suo romanzo, scrisse alcuni dei manifesti più originali del movimento inventato da Filippo Tommaso Marinetti, quelli della moda femminile e della casa. Fascista della prima ora, cercò di orientare le scelte di Mussolini attraverso una intensa attività pubblicistica. È il rappresentante di un fascismo che attrae poco. Desideroso di archiviare la rivoluzione, Volt pregava il Duce di creare una aristocrazia nera, una oligarchia illuminata che, a suo dire, avrebbe dovuto raccogliere l'eredità della Destra storica. È il fascismo-regime ma in una forma nobile, ben diversa dalla realtà fatta di gerarchi più o meno ridicoli.
Volt aveva poi presente le grandi questioni che avrebbero portato l'Europa al suicidio della Seconda guerra mondiale. Nazionalismo, internazionalismo e imperialismo sono al centro della sua riflessione. Nazionalismo e internazionalismo sono due facce della stessa medaglia. Entrambi sono insufficienti e dannosi in misura diversa (l'internazionalismo è il peggio del peggio). In questa visione rientra la riflessione sulla necessità dell'impero. Niente a che vedere però con la propaganda, come mostrano i dubbi superati ma ben espressi del romanzo. Tuttavia, secondo Volt, la salute di un popolo si misura dal desiderio di espansione affidato all'audacia di pochi coraggiosi. Ora La fine del mondo (GOG, pagg. 208, euro 15), esce in una pregevole edizione che raccoglie anche testi non narrativi di Volt e un omaggio all'autore, di Filippo Tommaso Marinetti. Grande merito della riscoperta di Volt è da attribuirsi a Gianfranco de Turris, autore della bella introduzione che colloca La fine del mondo nella cultura dell'epoca. Se il romanzo risente dell'influenza di H.G. Wells, ben noto a Volt come risulta da alcune lettere, dal punto di vista ideologico è la trascrizione in chiave fantastica di Teoria sociologica della guerra dello stesso Volt, saggio opportunamente ristampato in appendice. L'orizzonte in cui si collocano queste opere è la filosofia di Vilfredo Pareto, che assegna alle élite un ruolo chiave. Volt, scrive de Turris, è anche un anticipatore, per alcuni versi, del barone Julius Evola.
Senza dubbio, il romanzo di Volt, pur avendo una struttura narrativa esile, è ricco di spunti interessanti. Ad esempio, il protagonista Paolo Fonte, pezzo grosso del Partito Dinamico, nota come la guerra non sia affatto scomparsa grazie alle istituzioni sovranazionali, ha soltanto assunto una forma diversa: la rivolta e la rivoluzione all'interno delle «antiche» nazioni. Ancora, sull'immigrazione, Paolo Fonte offre questa riflessione al lettore: «Visto che la razza bianca in Australia non si decideva a moltiplicarsi Giapponesi e Cinesi avevano deciso di popolare per loro conto quei vasti deserti. Protetta dal regolamento internazionale che vieta di porre una barriera alle correnti emigratorie, la razza gialla aveva metodicamente popolato e fertilizzato il continente australiano. Quando i gialli furono avviati ad essere la maggioranza del Paese, inalberarono bandiera propria, proclamando la loro indipendenza.
La guerra, scusate! La rivoluzione durò cinque anni, con varia vicenda. Un plebiscito annunziò infine la pacifica annessione dell'Australia alla repubblica giapponese». Che differenza c'è fra una simile rivoluzione e una guerra d'annessione?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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