La cultura non si cancella

In Italia la cancel culture da alcuni è considerata una paranoia della destra, alimentata da «certa stampa», come si ama dire: il Foglio e il Giornale soprattutto. È una esagerazione («la cancel culture non esiste»), un'arma ideologica per limitare i diritti delle minoranze e per sdoganare l'hate speech, i discorsi razzisti, le parole offensive... È insomma qualcosa di strumentale, non un pericolo reale per la libertà di pensiero e di espressione. Qualcosa che si liquida con sufficienza, un argomento poco nobile, appannaggio di anime candide, conservatrici o ultraliberali.

Poi ci sono intellettuali che, da sinistra, si interessano alla questione cercando - con atteggiamento più o meno distaccato - di contestualizzare la cancel culture, facendo distinguo, ridimensionando il fenomeno, cercando di capire le ragioni che l'hanno alimentata... Affermazione tipica: «La cancel culture è la risposta sbagliata a un problema reale». Insomma: «A volte si esagera, però...». «Abbattere le statue è un errore, ma ridimensionare certe figure è necessario» (e magari la statua intanto si può spostare). «La censura è sempre una pessima decisione, ma è giusto mettere in guardia il lettore...». Un esempio - ma più raffinato - di tale approccio è il nuovo numero della rivista trimestrale Paradoxa (aprile-luglio 2022) dal titolo «Cancel culture. Uso e abuso», a cura di Gianfranco Pasquino, che cerca un punto di equilibrio tra la «riprovazione indignata» (la sinistra direbbe: tipica di certa destra) e la «rassegnazione intristita» (la destra direbbe: la supina tolleranza della sinistra verso l'intolleranza). Tesi: «Occorre confrontarsi con i cancellatori di cultura come interlocutori. È possibile, infatti, che la demolizione di una statua consegni una lettura diversa della stessa statua, di una giusta distanza rispetto ad essa che non silenzia nessuno, ma dà voce e possibilità alla critica». Come ha titolato ieri Repubblica un articolo di Giancarlo Bosetti dedicato allo speciale di Paradoxa, «Rileggere la storia, non cancellarla». Ossia distinguere fra riflessione critica, necessaria, e censura, da condannare. Accettiamo il dibattito (come non potremmo?). Ci chiediamo solo come mai la sinistra non abbia la stessa comprensione quando, da destra, si propone di «rileggere» alcune pagine di Storia, e invece urli subito al «revisionismo» sporco&cattivo. Comunque, provare a comprendere le ragioni di chi - un esempio fra molti - voleva abbattere le statue di Cristoforo Colombo, non ha finora preservato le statue, e tanto meno soddisfatto gli abbattitori. Anzi, l'impressione è che abbia armato la mano all'ideologia Woke invece che placarla.

Intanto, per quelli del «ma, però» e del «La cancel culture non esiste!», rimandiamo al database online, sempre inquietantemente aggiornato, creato dalla «Student Free Press Association» per catalogare tutte le storie di caccia alle streghe che stanno trasformando i campus anglosassoni in tribunali politicamente corretti.

«In totale abbiamo registrato 186 episodi di cancel culture nei nostri campus dal 1° giugno 2021 al 31 maggio 2022. In altre parole, ci sono stati quasi quattro incidenti a settimana durante lo scorso anno accademico». Trovate tutto qui: www.thecollegefix.com/ccdb/.

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