Via dall'avanguardia per riscoprire le radici e trovare la poesia

Pubblichiamo uno stralcio del discorso di Pierre Michon, Premio Nonino internazionale. La cerimonia di premiazione si terrà domani, alle 11, nelle Distillerie Nonino a Ronchi di Percoto (Udine).

Via dall'avanguardia per riscoprire le radici e trovare la poesia

Proverò a parlare di me in particolare, e più in particolare ancora di come ho avuto l'idea di scrivere le Vite minuscole, di come sono venute a me: non cadute dal cielo, ma cresciute in una terra incolta, un campo di rovi. Alla loro nascita ha fatto da sfondo uno specifico mondo contadino: il vecchio orto di mio nonno, abbandonato. All'epoca avevo quasi quarant'anni e non avevo pubblicato nulla. Avevo scritto molto in realtà anzi, non facevo altro , ma testi che ritenevo indegni di essere proposti a un editore: testi che nelle mie aspirazioni dovevano essere d'avanguardia, giacché l'avanguardia era la moda letteraria del momento. Dovevano, soprattutto, servire ad allontanarmi, a distinguermi dal mondo contadino da cui provengo. Dovevano offrire di me l'immagine di un uomo intelligente, universale, aperto a tutto, svincolato da ogni legame, che sorvola allegramente ogni luogo e ogni sapere; dovevano liberarmi dalla mia vita in favore di un'altra, più brillante, senza tempo, senza un luogo definito: dovevano, insomma, riflettere l'immagine di un autore che tutto era fuorché provinciale, contadino. E poi, una sera, ho rivisto quell'orto. Era l'ultima particella che mio nonno Félix aveva coltivato alla fine dei suoi giorni, quando non aveva più la forza di coltivare ancora la sua piccola proprietà. L'ho rivisto mentre si affaticava su quella terra, lui che aveva sofferto di essere contadino e soffriva di non poterlo essere più. Mi si è stretto il cuore nel vedere che di tutti i suoi sforzi non restava là dove un tempo crescevano piante di fragola, asparagi, rose che un cumulo di rovi e di erbacce. E mi sono detto: abbandona le tue storie intelligenti e vane; parla degli idioti, degli ingenui, degli sbandati, che hai amato nell'infanzia e che hai fatto di tutto per rinnegare. Convoca i tuoi morti. Riprendi la coltivazione di quell'orto. Fa' rivivere tuo nonno. Parla di ciò che conosci. E ciò che conoscevo meglio, dovevo pur ammetterlo, era il mondo contadino del Limousin. Solo in virtù di quel tratto particolare avevo la possibilità di accedere all'universale. Così ho cominciato le Vite minuscole, all'indomani stesso di quel giorno. Avevo trovato il mio campo, insomma.

C'era un pericolo: che in quell'orto mi trovassi così bene da non volermi più muovere. Che vi mettessi in qualche modo radici. Nei contadini del Limousin, e grazie a loro, avevo trovato l'umanità in generale: correvo il rischio di non volerli più lasciare e di scrivere un'opera limosina da cima a fondo, in zoccoli. Ho avuto paura delle radici. Così sono fuggito più lontano che ho potuto: avevo appena concluso le Vite minuscole e già mi calavo in un racconto dove si affrontavano l'esercito di Roma e quello di Attila, L'imperatore d'Occidente, in una tarda antichità fantasmatica. Fantasmatica ma il mondo contadino che attraversa le Vite minuscole non lo è quanto l'esercito di Attila? Certo che sì. Vi si rispecchia non già il mondo contadino, ma la sua leggenda. Nel campo di Félix non sono cresciute fragole e rose vivaci, ma testi, i miei testi.

Se non altro, intorno al 1980, avevo pagato il mio debito nei confronti di quel campo, se non altro avevo smesso di ignorarlo e di rinnegarlo. Pagato quel tributo, potevo scrivere liberamente, senza patria e senza radici.

* autore di Vite minuscole (Adelphi)

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