Le diciassette ragazze incinte tutte insieme come atto di ribellione

La pellicola "pro life" che fa discutere la Francia. Esce il film delle sorelle Coulin che racconta la storia vera del patto tra un gruppo di adolescenti per diventare madri

Le diciassette ragazze  incinte tutte insieme  come atto di ribellione

Lo scriveva Rimbaud, lo ripeteva Leo Ferré: «Non si può essere seri a diciassette anni». E oggi quel verso è il finale che sottoscrive le 17 pance contemporaneamente gravide delle 17 ragazze del film delle sorelle Delphine e Muriel Coulin, in uscita nelle sale il prossimo 23 marzo, presentato all’ultimo Festival di Cannes e in concorso all’ultimo Torino. E se a qualcuno venisse in mente di gridare allo scandalo dopo averlo visto, invece che intonare un bell’inno alla gioia, gli si potrebbe ricordare la sensazione che si provò all’uscita dalle sale dopo aver sofferto grazie al vincitore di Cannes 2007, «Quattro mesi, tre settimane e due giorni», del giovane romeno Cristian Mungiu. Là un doloroso e squallido aborto clandestino spegneva tutte le luci della speranza.

Qui 17 gravidanze cercate nel mezzo del cammino dell’adolescenza vi accenderanno, risveglieranno adrenalina in ogni vostra cellula e neurone di fronte al patto testardo e commovente suggellato contro «vitadimerda.com». Così le ragazze chiamano il sito-mondo di quegli esseri sterili alla vitalità che sono diventati gli adulti, bloccati nelle loro paure. Prime fra tutte quella di invecchiare e di morire, ovvero di vivere. E così decidono di combatterne il potere virale e inglobante prima che sia troppo tardi: restare gravide e restarlo tutte insieme. Per una volta unite, come è naturale per un piccolo esercito tutto al femminile, fino alla vita e non fino alla morte.

A un film così si può perdonare tutto, compreso che le fanciulle scelte dal casting sono proprio tutte così belle che certo non bisogna sospendere l’incredulità per pensare che troveranno in fretta qualcuno che le aiuti a restare incinte quando e come lo desiderino. Al tempo delle mele, nessuno avrebbe saputo immaginare un film del genere, in cui tutte le liceali «sono» Sophie Marceau e se qualcuna di nascosto portasse l’apparecchio ai denti il suo fascino ne verrebbe soltanto accresciuto.

Ma non è più il tempo delle mele: se dal di fuori le adolescenti di oggi restano gli stessi corpi con le stesse cuffie perennemente attaccate al collo e gli stessi divani - o, qui, una pietrosa battigia normanna carica di controluce nordica, che conferisce ai loro dialoghi, ai loro «Siamo noi, che decidiamo, adesso», una determinazione barbara - su cui appartarsi a discutere del proprio futuro, le loro menti, rese incredibilmente ardite e veloci da un mondo ostile, privo di nonne complici e sagaci e che cerca costantemente di schiacciarle ai margini, le loro menti sanno, inconsapevolmente sanno, che è un momento per la comunità umana in cui si deve tornare a osare.

E a cercare, oltre all’indirizzo del più carino della scuola, qualcosa che cambi il proprio, di mondo, se quello dei grandi non ne vuole sapere di ascoltare.
E siccome spesso dietro un bel film c’è una straordinaria storia vera - che è diventata anche un libro a firma della cronista Vanessa Schneider, in uscita il 4 aprile per Barbès - il patto di queste 17 ragazze è lo stesso che nell’autunno del 2008 fu stretto a Gloucester, Massachussets, da 17 vere liceali. Il posto è piccolo, una cittadina di pescatori, e la gente comincia a mormorare quando venne a galla che un insolito numero di ragazze passa dall’infermeria della scuola per chiedere i test di gravidanza. Ora di maggio, le ragazze erano aumentate e andate e tornate diverse volte per verificare se fossero incinte: «La cosa strana - dichiarò all’epoca uno dei responsabili dell’istituto scolastico - è che sembravano contrariate quando gli si diceva che il test era negativo».

Confessarono, quelle future madri nessuna delle quali superava i 16 anni: vogliamo avere bambini nostri e vogliamo crescerli tutte insieme. Certo, poi si scoprì che uno dei padri aveva superato i 24 anni. E certo, se nessuna di loro accettò di farsi intervistare, fu Amanda Ireland, una compagna più grande e già diplomata, una che aveva appena avuto un bambino e lo aveva portato a scuola, a dire ai giornali che era stata lei l’origine del patto: «Erano così eccitate all’idea che avrebbero potuto averne uno anche loro, avere finalmente qualcuno che le amasse incondizionatamente. Ho cercato di spiegargli che sarebbe stato difficile sentirsi amate da un bambino che urla alle 3 di notte perché ha fame».
La tesi di Amanda è la stessa che nel film esprime anche la madre infermiera a Camille, la prima a rimanere incinta: «Avrai una piccola vita di merda. Per te è finita».

È vero, la maggior parte delle adolescenti che restano incinte sono adolescenti che non decidono, un bambino, di averlo. Ma di «tenerlo», come accade a Sam e Alicia, i sedicenni di Tutto per una ragazza di Nick Hornby.

O di darlo in adozione invece di abortire, come accadeva all’adolescente Juno nel film di Jason Reitman scritto da Diablo Cody. Ma ci sembra che la rivoluzione di questa storia stia proprio in questo: 17 donne che hanno deciso che nessuno può decidere per loro e insieme hanno scelto la vita. Per prime e per sempre.

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