Divisioni, odi e vendette. I lunghi coltelli a Sinistra sono "Déjà vu"...

Francesco Cundari ricostruisce la storia infinita dei mille movimenti dentro l'area progressista

Divisioni, odi e vendette. I lunghi coltelli a Sinistra sono "Déjà vu"...

In Italia, quasi tutti i giorni muore un partito. In Italia, quasi tutti i giorni nasce un nuovo movimento. È difficile votare due volte di fila lo stesso simbolo, lo stesso schieramento, lo stesso leader. Essere di sinistra, in Italia, è un inferno. Cosa direbbe Freud, vedendo che oggi sono i padri, più o meno nobili, a ribellarsi a figli ingrati e rottamatori? E cosa direbbe Nietzsche di fronte all'eterno ritorno di una storia sempre diversa e sempre uguale a se stessa?

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Stiamo parlando di quel complicato, controverso, contraddittorio processo che sui giornali si usa chiamare ora riunificazione della sinistra ora ricomposizione del centrosinistra, ora più solennemente rinascita, ricostruzione, rifondazione di una grande forza progressista capace di riconnettere la sinistra con il suo popolo. E che forse dovremmo definire, più esattamente, ricreazione.

Ogni giorno in Italia nasce se non un partito una corrente, un movimento o almeno un appello per rinnovare radicalmente la sinistra. E per farla finita, va da sé, con le divisioni. Farne la storia è impossibile: perché l'infinita serie di scissioni, riaggregazioni e successive riscomposizioni che caratterizza la parabola del centrosinistra non disegna, per essere esatti, alcuna parabola. Semmai, un frattale. Un'immagine dotata cioè di autosimilarità, in cui ciascuna delle parti ripete su diversa scala la figura dell'intero.

Sarà meglio spiegarci con qualche esempio.

«Il Paese ha bisogno di un radicale cambiamento. Che ripristini la legalità, che inverta la tendenza al regime». È l'incipit di uno dei tanti appelli di questa lunga stagione. Il titolo è: «Per un nuovo partito della sinistra». Ma chi potrebbe dire con certezza, oggi, di quale nuovo partito si tratti, e di quale regime?

«Il Paese ha bisogno di un partito della sinistra nuovo e diverso. Nuovo e diverso innanzitutto nel senso che a fondarlo non siano solo cittadini che già oggi militano in un partito, ma anche, e con eguale peso e dignità, i molti che nei partiti tradizionali e ufficiali della sinistra non hanno potuto riconoscersi: come singoli, club, movimenti di opinione». Con queste parole, il 10 febbraio 1990, un gruppo di intellettuali capitanati da Paolo Flores d'Arcais riuniscono al teatro Capranica di Roma quella che al tempo, specialmente dalle colonne di Espresso e Repubblica, usano chiamare «sinistra sommersa», e che presto cominceranno a definire, più genericamente, «società civile». Sono le stesse parole d'ordine, e in molti casi gli stessi protagonisti, che si ritroveranno in quel movimento dei girotondi che dodici anni dopo, il 2 febbraio 2002, prenderà slancio dalle parole di Nanni Moretti («Con questo tipo di dirigenti non vinceremo mai!»). A cambiare, in pratica, è soltanto il regime: nel 1990 è ancora il regime democristiano, nel 2002 è già regime berlusconiano. Lo stesso Flores, del resto, il suo primo appello a quella «sinistra sommersa» in cui «oggi è diffuso un disagio», a quegli elettori che «negli schieramenti della sinistra organizzata, e nella prassi quotidiana dei rispettivi partiti, trovano ormai difficoltà insormontabili a riconoscersi», lo scrive su Repubblica il 3 gennaio 1987. Quando ci sono ancora il Partito comunista e il Muro di Berlino, Reagan e la Thatcher. E continua a scriverlo, con cadenza ricorrente, per i successivi trent'anni. Per esempio, il 15 febbraio 2011, all'indomani della grande manifestazione femminista dei comitati «Se non ora quando?», allorché sul Fatto Quotidiano invita le organizzatrici a non fare «l'errore compiuto dai girotondi, e poi dai viola, e dal movimento degli studenti, e da tutti i movimenti di lotta che hanno mantenuto civile e vivo questo Paese nel quasi ventennio cupo che abbiamo vissuto». L'errore cioè di delegare «ai soli partiti il momento elettorale» (e pensare che a ciascuno dei movimenti citati, nessuno escluso, era arrivato di volta in volta l'argomentato appello di Flores).

Sono le stesse parole d'ordine che risuonano a Roma, il 18 giugno 2017, nell'assemblea del teatro Brancaccio. A ben 27 anni dall'assemblea del Capranica. A trenta da quel primo articolo sulla «sinistra sommersa».

«Quando è stato chiaro che ciò che pure si continua a chiamare sinistra sarebbe stata sotto il controllo di una oligarchia senza alcuna legittimazione dal basso, e intimamente legata al sistema, abbiamo detto: basta», spiega dal palco Tomaso Montanari, critico d'arte, editorialista di Repubblica e presidente di Libertà e Giustizia (associazione-movimento della società civile fondata nel 2002 da Carlo De Benedetti, con personalità e caratteristiche perfettamente autosimili). Per questa ragione «io e Anna Falcone abbiamo deciso di invitarvi a venire qua oggi, quando l'ennesimo amico ci ha detto che alle prossime elezioni politiche non avrebbe votato». Per avviare cioè un processo in cui «ogni cittadino conti a prescindere dalle tessere che ha o non ha in tasca». Un processo che tuttavia s'interrompe bruscamente il 13 novembre 2017, quando i due promotori, Montanari e Falcone, annullano l'imminente assemblea del loro movimento con un breve testo in cui danno la colpa alle «manovre politiciste» dei partiti e annunciano due distinti documenti uno di Falcone, l'altro di Montanari in cui dicono di voler continuare a lavorare insieme, ma in un percorso nuovo e autonomo.

Passano ancora pochi giorni e Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa, a loro volta già protagonisti a diverso titolo di un'altra mezza dozzina di movimenti-partito e partitimovimento della società civile di simile orientamento, annunciano «la mossa del cavallo».

E naturalmente, come tutti i loro predecessori, contemporanei e successori, precisano subito: «Noi non siamo un partito e non saremo mai un partito, anzi, noi proponiamo, con questo appello al popolo, un'alleanza fra cittadini, contro i partiti. Noi guardiamo ai cittadini, a quel 60 per cento di elettori che hanno già deciso oggi di non votare alle prossime elezioni...».

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