Il teatro che racconta la devastante realtà delle dittature comuniste. A partire da oggi, a Milano, sono di scena Collaborators e Goli Otok. Isola della libertà, due spettacoli interessanti che in comune hanno proprio questo: entrambi mostrano il volto agghiacciante del totalitarismo comunista, il livello di perversione ideologica a cui si era giunti nell'Unione Sovietica di Stalin e nella Jugoslavia di Tito. Ma lo fanno in modi diversi: il primo virando sul grottesco, il secondo privilegiando la piena aderenza alla realtà.
Collaborators debutto nazionale al Teatro dei Filodrammatici di Milano, in cartellone fino al 4 dicembre prende spunto dalla vicenda dello scrittore russo Bulgakov, che negli anni del dominio staliniano fu costretto ad accettare il compromesso col regime, fino al punto di scrivere un copione celebrativo per glorificare il dittatore. Il fatto che uno spirito libero come Bulgakov si fosse piegato all'umiliazione di un testo apologetico è un particolare che ha colpito l'immaginazione di John Hodge, lo sceneggiatore di Trainspotting. Colpito talmente tanto che ne è nato Collaborators, suo primo copione teatrale. Lavorando di fantasia, ha pensato di far incontrare di persona, su un palcoscenico, il Piccolo Padre e l'autore di Il Maestro e Margherita. Incontro dai risvolti tragici per il romanziere: inizialmente all'insegna della complicità fraterna, quasi cameratesca, poi però si scopre che dietro quelle parvenze bonarie il despota celava ben altri intenti, dei quali si viene a conoscenza nel prosieguo della trama. Quattordici attori diretti da Bruno Fornasari per questa produzione nuova di zecca dei lanciatissimi Filodrammatici, che da un po' di anni si sono specializzati nelle drammaturgie contemporanee, inanellando un successo (meritato) dietro l'altro.
Tutt'altra atmosfera si respira in Goli Otok, al Teatro della Cooperativa, sempre a Milano, fino al 27 novembre. È la storia vera di Aldo Juretich, sopravvissuto al più atroce dei campi di concentramento di Tito, dopo due anni di soggiorno forzato dal '49 al '51. Sul palco, la straziante confessione a ruota libera di un uomo virtuoso, la cui unica colpa fu di non essersi allineato alle posizioni politiche del Maresciallo, quando tra quest'ultimo e Stalin si consumò la storica rottura nel 1948.
Gli spettatori assistono allo sfogo lucido e ragionato di un individuo esemplare che per molti decenni, temendo che una parola di troppo potesse risultare fatale per se stesso e per le persone a lui più care, aveva preferito tenere dentro di sé il segreto, dolorosissimo, delle torture subite dentro il gulag dell'Isola Calva (la Goli Otok del titolo), nel territorio dell'attuale Croazia.
Renato Sarti ha scritto il testo - ispirandosi alle testimonianze raccolte nel saggio di Giacomo Scotti Ritorno all'Isola Calva, che negli anni '90 ebbe il merito di far scoprire ai lettori l'esistenza di un gulag in Europa, di cui mai prima d'allora si era sentito parlare ed Elio De Capitani si è calato anima e corpo in Juretich, nel flusso di coscienza dell'ormai anziano ex deportato il quale, dopo aver taciuto troppo a lungo, vuota il sacco affidando i pensieri più intimi al suo medico curante (interpretato da Sarti).
Per come viene presentata in questa pièce, l'immagine reale di Tito è ovviamente ben lontana dalle fotografie che lo ritraevano sorridente e pacioso in compagnia di Sophia Loren e Elizabeth Taylor.
E pure Stalin, rispetto ai tempi in cui Churchill definiva la Russia «un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma», oggi come oggi è una figura storica dai contorni molto più nitidi. Il merito di ciò è anche del teatro.
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