Valerij Gergiev rimpiange di non aver potuto assistere al battesimo del Sacre du printemps (La sagra della primavera) di Stravinskij nel 1913. Mentre racconta e spiega il balletto che ha rivoluzionato la musica del Ventesimo secolo nel dvd The Story of Stravinsky's Sacre, un vecchio Stravinskij col maquis in testa mostra la cameretta d'albergo, a Clarens sul lago di Ginevra, dove scrisse il capolavoro e scorrono immagini del leggendario fiasco alla prima al Teatro degli Champs-Elysées di Parigi. Una sala troppo fredda e confortevole, dove un'opera «giovane e ardita e un pubblico decadente» («decolleté carichi di perle, piume di struzzo, fianco a fianco a frac e tulle: brandelli vistosi di quella razza di esteti che acclama il nuovo a sproposito e in odio alle logge») entrarono in collisione. Così un testimone oculare, il poeta, agitatore culturale e regista Jean Cocteau ricordava il pubblico super, ultra e anti snob e gli arredi déco del teatro di avenue Montaigne. Gergiev incita a suonare il Sacre in modo mai scontato, mai comodo, con violenza e durezza, perché ritorni qualcosa di quella «sinfonia impregnata di selvaggia tristezza, terra in gestazione, rumori di fattoria e di campo, piccole melodie che arrivano dal fondo dei secoli, affanno di bestiame, scosse profonde georgiche di preistoria», di cui Cocteau parlava fra i primi.
Ieri e oggi, la scossa vivificante non manca mai, soprattutto l'orgiastica danza finale dell'Eletta è acme assoluto di «quel polifonismo da cucina che si guasta, dove la giovane vittima offerta alla terra si spossa con orrore e rassegnazione».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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