Con i suoi manifesti Marcello Dudovich - e qui sta tutta la sua modernità - sapeva che più che un prodotto doveva vendere uno stile di vita. Il suo.
Stiloso, dandy, brillante, Dudovich vide attorno a lui un mondo, che la Storia chiama Belle Époque - fatto di agiatezza, abiti firmati e le prime villeggiature al mare e in montagna - lo reinterpretò alla sua maniera, molto libera, e lo mise in cornice dentro magnifici cartelloni. Si chiama pubblicità. Ma anche classe.
Di classe, Marcello Dudovich (1878-1962), triestino per nascita e internazionale per visione, ne ebbe molta, fin da ragazzo. A 19 anni è già a Milano, assunto come litografo alle Officine Grafiche Ricordi, pieno di ambizione e passione. Inizia con l'incarico di realizzare bozzetti per la pubblicità. E finisce col diventare uno dei padri del cartellonismo italiano.
Aveva un tratto pittorico unico, dissacrò i vecchi stilemi iconografici, intuì che quando si deve vendere qualcosa, è alla donna che occorre rivolgersi, sedusse quella donna rendendola a sua volta seducente - una donna emancipata, moderna, libera, dalla linea a «S»: busto rigido, forme snelle e sedere alto - e conquistò tutti. E i suoi manifesti sono il simbolo di un'epoca irripetibile. Per riviverla, oggi, si può entrare nella grande mostra Marcello Dudovich (1878-1962). Fotografia fra arte e passione aperta alle Scuderie del Castello di Miramare, nella sua Trieste, tra mare e Carso: 14 sale, 300 pezzi tra manifesti originali, schizzi e bozzetti, riviste, lettere, carboncini ma soprattutto - ecco l'originalità dell'esposizione - fotografie. Con un obiettivo preciso: mettere in evidenza il metodo di lavoro di un artista che non fu solo pittore e disegnatore, ma anche fotografo. Dudovich, amico di modelle, attrici e soubrette, disegnava ciò che prima fotografava. Il soggetto nasce sempre in posa per uno scatto e poi, rielaborato e riadattato, finisce sul manifesto.
Con un lungo lavoro d'archivio i curatori della mostra, Roberto Curci e Nicoletta Ossanna Cavadini, hanno trovato ed esposto le fotografie di donne ritratte in spiaggia, per strada, sdraiate sui divani, in terrazza, alle quali Dudovich chiedeva sempre di muoversi, ballare, leggere, sedurre con lo sguardo: donne sempre in movimento in un'epoca moderna e velocissima. E, lì accanto, ecco il bozzetto a matita o a carboncino, poi magari il disegno finito, e quindi il grande poster pubblicitario, ultimo atto - affiches ormai negli occhi di tutti - del lungo processo creativo. Eccoli: una serie di scatti in bianco e nero con una misteriosa «dama bianca» che corre sulla sabbia, in torsione, le braccia slanciate in alto e il velo in mano... e lì vicino il manifesto pubblicitario Pirelli Superflex Cord, con una donna che esce da un enorme pneumatico con le braccia alzate, avvolta in un velo, anno 1922. E così per il poster delle Assicurazioni Generali Venezia (1928) con una donna di tre quarti che guarda il mare e un lungo foulard mosso dal vento (la foto è identica, a parte la gondola). O per quello degli «Abiti per bambini» per i Grandi Magazzini Mele di Napoli (tutto nasce da una bambina col vestitino della festa fotografata mentre gioca alle bambole). O per quello delle caramelle Zeda del 1932 (in origine c'è la foto di una ragazza con uno scialle che nel manifesto viene sostituito da un drappo tricolore). O per quello per la collezione autunno-inverno del 1920 per La Rinascente con lui in Borsalino e cappotto verde e lei in cappellino, guanti e collo di pelliccia: la fotografia da cui nasce la pubblicità fu scattata a Villa Makallé, a Bellagio. E la coppia ritratta è formata da Umberto Brustio, presidente dei grandi magazzini milanesi, e signora. Ma a volte le immagini erano rubate: la celebre (all'epoca) pubblicità della Lana Polo del 1930 con un grande orso bianco è copiata da una fotografia senza data, e l'autore è ignoto, che ritrae un uomo travestito da orso con un bimbo per mano in un'innevata Cortina d'Ampezzo... Dalla realtà al sogno, e viceversa.
Le fotografie da sogno scattate da Dudovich, archiviate e sfruttate per il suo lavoro di cartellonista e illustratore di copertine di libri, riviste (ci sono numeri bellissimi della Lettura degli anni Dieci o del foglio satirico Simplicissimus che uscì a Monaco di Baviera tra il 1911 e il '15), calendari e anche manifesti cinematografici (a proposito, fu anche regista del film muto Noblesse oblige del 1918), sono oltre 1.200. Quelle in mostra sono una piccola parte, e altre ottocento passano in loop su quattro totem lungo il percorso.
Il percorso di Marcello Dudovich fu radioso: dai vent'anni milanesi all'esperienza a Bologna nello Stabilimento Grafico di Edmondo Chappuis, dai lunghi viaggi per l'Europa al ritorno a Milano, quando fonda con l'avvocato Arnaldo Steffenini la società editrice «Star», una ditta che produce manifesti pubblicitari della quale fu direttore artistico dal 1922 al 1936. È qui che Dudovich crea i manifesti per le campagne pubblicitarie delle maggiori industrie italiane disegnando l'immaginario borghese dei consumi (solo per La Rinascente realizzerà oltre cento poster), il Bitter Campari, le stazioni termali, gli ippodromi e il benessere per le donne...
Eccole, le donne di Dudovich... Belle, ricercate, audaci: per come baciano e per come si distendono languide in poltrona, per come leggono in spiaggia, guidano e danzano, e per come per danno le spalle all'osservatore, cosa inconsueta per le illustrazioni di quel periodo. C'è anche il bozzetto a colori - titolo: Sole d'inverno - con una ragazza distesa sopra una pelliccia candida, su una slitta rossa, a seno nudo. È il 1938.
Dopo arriverà la guerra, e dopo ancora la ricostruzione, e infine il boom. Dudovich muore nel 1962. Ma ormai, dopo i fulgenti anni Trenta, è fuori dal grande giro da un pezzo. Non è cambiato lui, è cambiata la pubblicità.
Quello che non cambiò mai fu invece il suo occhio magico nel vedere le donne, e renderle regine, anche soltanto della casa.
In una vetrina, a metà della mostra, è esposto, quasi defilato, un gruppo di nove piccole fotografie in bianco e nero. Marcello Dudovich le scattò nel 1950, quando aveva 72 anni, alla nipote diciottenne, nella sua cameretta: in una foto s'intravede nello specchio anche l'autore. L'artista non utilizzò mai quel servizio, che finì in un cassetto. Fino a oggi.
Ritrovato, è stato esposto per mostrarlo a noi e a quella giovane nipote, oggi una ancora bellissima signora ottantottenne, Cristina Luce, la quale qui si è rivista dopo così tanto tempo, eppure ancora ricorda bene lo zio Dudù. «Era sempre così allegro, elegante, per quello che sentivo dire anche tombeur de femmes, e curioso di tutto».
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