Era «una fanciulla russa che aveva una gran chioma nera, occhi chiari e ironici, guance rosse, splendente di quella salute, vita e gioia che mancavano a Jean». Aveva quindici anni, e in un giorno del 1887, a Parigi, un giorno d'inverno, di quelli che raffreddano anche i cuori, inviò una letterina che iniziava così: «Mio caro Jean, siccome fa molto freddo e sono raffreddata, per i prossimi due mesi mi hanno vietato di venire agli Champs-Élysées...».
La storia della letteratura deve molto a quella smorfiosetta, Marie de Bénardaky, che non era russa ma polacca, figlia di un nobile ex maestro di cerimonie alla corte dello zar. Le deve molto perché l'amico al quale diede buca non si chiamava né Jean, né Santeuil. Si chiamava Marcel e soprattutto Proust, aveva sedici anni e, dopo il due di picche che lo mandò fuori di testa, lasciò perdere le ragazzine per dedicarsi esclusivamente ai ragazzini. E poi ai soldatini (quelli in carne e ossa e spada), ai giocatori di golf (pare fossero loro, le famose «fanciulle in fiore»), agli autisti, ai piloti di aerei, ai conti, ai fornai, ai baroni, ai pescatori e via discorrendo e via scrivendo.
Cara Marie, non sai quanto bene hai arrecato a noi tutti, eterosessuali + LGBTQ, il codice fiscale dei pareri differenti, ma in questo caso certamente tutti concordi. Negandoti a Marcel, lo hai svergognato e sverginato, per lui sei stata la prima e l'ultima, nel senso di primo e ultimo filarino femmina. E sei diventata la prima di innumerevoli modelli di uomini virati in donne: i rossetti al posto dei baffetti, le collane al posto delle cravatte, gli stivaletti al posto degli stivaloni. Senza di te forse non ci sarebbe stato bisogno di nessuna Ricerca, non ci sarebbe stato nulla da cercare, e invece molto da trovare e da cogliere. Eppure, nonostante tutto, ci crederesti?, nel 1914, ben ventisette anni dopo aver letto quel tuo messaggio, dedicando una copia di Swann a Jacques de Lacretelle, il povero Marcel pensava ancora a te: «Infine ho pensato, per l'amicizia di Gilberte agli Champs-Elysées con la neve, ad una persona che è stata il grande amore della mia vita senza che essa l'abbia mai saputo (o l'altro grande amore della mia vita, perché ce ne sono stati almeno due), Mlle Bénardaky oggi (ma io non l'ho più vista da molti anni) principessa Radziwill».
Ora che dalla benemerita cornucopia proustiana di Bernard de Fallois, morto tre anni fa, esce anche in italiano Il corrispondente misterioso (Garzanti, pagg. 171, euro 20, traduzione di Margherita Botto), antologia di brevi scritti espunti ed espulsi, da Proust stesso, da I piaceri e i giorni, l'omaggio a Marie era doveroso. Perché qui, in queste bozze costellate di cancellature e ripensamenti, pudori e incertezze, timori e tremori, il tema è l'omosessualità. Nulla di hard, però, la frase più esplicita, attribuita al corrispondente misterioso del titolo che poi si rivela essere una amica lesbica della destinataria - e due mascheramenti valgono una rivelazione - è questa: «È il vostro corpo che voglio...». Come scrive Luc Fraisse, docente all'Università di Strasburgo che le ha trascritte, annotate e presentate, queste novelle trattano «il problema psicologico e morale dell'omosessualità. Mettono in luce una psicologia sostanzialmente dolorosa. Non violano l'intimità di Proust; invitano a comprendere un'esperienza umana».
Siamo nel torno d'anni che precede il 1896, cioè l'uscita di I piaceri e i giorni, e Marcel ci appare, per così dire, mentre lavora in palestra prima di scendere nello sterminato campo della Ricerca. Più che altro, potenzia la muscolatura della sua prosa con vari esercizi di stile: si ispira al Poe della Lettera rubata proprio per Il corrispondente misterioso e a quello del Corvo per La consapevolezza di amarla, dove uno strano animale proto-disneyano, un affettuoso «gatto-scoiattolo», prende il posto dell'uccello profeta di sventure; si aggira circospetto nel territorio del fantastico in Jacques Lefelde (Lo straniero) e nell'autobiografico Il dono delle fate; apparecchia dialoghi fra morti in Pauline de S. e Agli inferi; strizza l'occhio alla Volontà di Schopenhauer in Dopo l'ottava sinfonia di Beethoven; chiede conforto a Dio in «Era così che aveva amato...».
Nell'unica novella non inedita, Ricordo del capitano, trascritta e fatta uscire, ovviamente da Bernard de Fallois, su Le Figaro il 22 novembre 1952, troviamo l'«io» più «io» di tutti. Il capitano, in vena di nostalgie, torna nella cittadina dove fu tenente per un anno. Ha dimenticato dei libri in caserma e vi si reca per dare istruzioni all'attendente su dove spedirglieli. E lì scorge un brigadiere di guardia che legge il giornale seduto su un paracarro: «E dimenticando la realtà, grazie a quell'incantesimo misterioso degli sguardi che sono come anime e ci trasportano nel loro mistico regno dove tutte le impossibilità scompaiono, rimasi a capo scoperto già trasportato abbastanza lontano dal cavallo con la testa girata verso di lui finché non lo vidi più.
Lui continuava a fare il saluto e davvero si erano incrociati due sguardi di amicizia, come fuori dal tempo e dallo spazio, di amicizia già fiduciosa e quieta». Il buon Marcel era fatto così, non amava le piazze affollate, gli bastava un'occhiata per celebrare intimamente i suoi Proust-pride.
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