Cultura e Spettacoli

Ecco come difendersi dal politicamente corretto

Mastrocola e Ricolfi mettono in luce tutti i limiti dell'ideologia che ci schiaccia in nome del bene

Ecco come difendersi dal politicamente corretto

Per capire che cosa sia il politicamente corretto, oggetto di questo agile pamphlet di Paola Mastrocola & Luca Ricolfi (Manifesto del libero pensiero, La nave di Teseo, 127 pagine, 10 euro), bisogna fare un passo indietro, sino all'Italia anni Sessanta, quando, ci dicono i due autori, la censura stava a destra e la libertà di espressione era di sinistra. È una dicotomia molto, forse troppo schematica, ma rende l'idea, nel senso che c'era una cultura dominante conservatrice, bigotta per molti versi, autoritaria nelle famiglie come nella società. Erano i retaggi del culturame caro da un lato all'onorevole Mario Scelba, Dc, delle intemerate del Pci contro l'arte d'avanguardia e la corrotta classe borghese dall'altro. In sostanza, c'erano due chiese intellettuali che si contendevano l'egemonia ideologico-politica del Paese, ma che celebravano la stessa messa puritana e insieme ipocrita. Ciò che rimaneva fuori da un simile connubio, erano un po' di spiriti liberi, liberali e libertini, un po' di borghesia controcorrente e bastian contraria, qualche scrittore, pittore o regista eterodosso e, insomma, un insieme di singole voci che facevano da controcanto al coro conformista egemone sulla scena.

Il '68 e dintorni, ovvero la contestazione, aprirono una crepa in questa costruzione, apparentemente massiccia, e di fatto la fecero franare. Non era un fenomeno italiano, ma internazionale, segnava l'ingresso nella storia della prima generazione interamente postbellica, nonché il compimento di una società industriale e di massa all'insegna della tecnica e del consumo. Il suo affermarsi esigeva il rifiuto delle regole e delle autorità prima esistenti, il vietato vietare, insomma, con cui ogni libertà, in ogni campo, doveva essere garantita. Da una mentalità dominante conservatrice si passò a una mentalità dominante progressista e/o liberatrice.

È allora che, quasi insensibilmente, scrivono Mastrocola & Ricolfi, comincia l'uso del politicamente corretto, ovvero una sorta di legislazione del linguaggio, un'ansia e una bulimia di ribattezzare e in qualche modo santificare il nuovo corso delle cose e insieme fare tabula rasa del passato. Il suo assunto di base è che siano le parole a generare i comportamenti, un assunto paradossale se si pensa che nasce all'interno di una corrente di pensiero per la quale erano sempre state le condizioni sociali, ovvero materiali, a generare tanto le idee quanto le azioni. Il passo successivo è che il linguaggio si fa etico, non nomina più le cose, ma le connota moralmente: Lo spazzino o il netturbino diventano operatori ecologici, così come i bidelli operatori scolastici e i becchini operatori cimiteriali. Ciò che sino al giorno prima era neutro, viene caricato di un valore spregiativo/regressivo e corretto appunto in modo ritenuto giusto e quindi positivo. Poco importa, naturalmente, se le condizioni di lavoro rimangono le stesse

Nel tempo la colonizzazione del politicamente corretto si estende a tutti i gangli della società. Lo fa ipocritamente, perché affetta un rispetto verbale che, per esempio, nobilita i vecchi trasformandoli in anziani o nella ribattezzata terza età, continuando però a trattarli sempre nello stesso modo, espellendoli cioè brutalmente dalla società. Lo fa anche spregiativamente, perché contrappone al linguaggio comune, trasformato in reazionario e retrogrado, il linguaggio ufficiale dell'élite, un codice linguistico di cui viene sorvegliato, se non addirittura imposto, il rispetto. Il risultato finale è che il linguaggio ufficiale, cadaverico , stando alla bella definizione di Natalia Ginzburg ancora alla fine degli anni Ottanta, si fa censorio nel suo imporre un conformismo linguistico che è anche un conformismo ideologico, chiudendo così il cerchio.

Nel loro pamphlet, Mastrocola & Ricolfi esaminano anche il politicamente corretto applicato persino alle convenzioni del linguaggio, alle regole dell'ortografia e della grammatica, dalla stigmatizzazione dell'uso neutro del pronome maschile, all'utilizzo del cosiddetto schwa, sino alla comica finale di chi vuol ribattezzare history con herstory, come se quell' his iniziale sia un pronome possessivo maschile anglosassone e non una derivazione greca istoria, o latina historiaNessuno sembra accorgersi, dicono, che un conto è una lingua che cambia nel tempo, come è sempre stato, un processo di evoluzione spontanea che avviene dal basso, e un conto è «la deriva della lingua» imposta dall'alto: «Solo i regimi totalitari hanno questa pretesa, in spregio al comune sentire delle persone».

Come ogni settarismo, il politicamente corretto non ha il senso del ridicolo. Non si spiega altrimenti come un'associazione animalista e ambientalista sia potuta insorgere contro una canzoncina di Cochi & Renato, La gallina, ormai vecchia di mezzo secolo, considerandola «un insulto verso i polli e le galline». «Allora il rispetto degli animali non esisteva» hanno concesso i censori, ma adesso è ora di ridare ai pennuti la considerazione che meritano

Applicato in campo artistico, il politicamente corretto altro non è che un bavaglio etico. Se si va a guardare il contenuto medio, in letteratura come al cinema, della nostra arte contemporanea, si vedrà che è cronachistico e angusto allo stesso tempo: ci sono i migranti e c'è l'orgoglio femminile, le minoranze etniche e i bambini in guerra, vari tipi di diversità, avvocati e giornalisti eroici contro la mafia, avvocati e giornalisti corrotti dalla mafia. È una sorta di nuovo realismo socialista, dove non ci sono più personaggi, ma esemplari, non più individui, ma rappresentanti. Scompare la complessità del reale, non c'è più spazio per l'ambivalenza e la dialettica del bene e del male. Come notano Mastrocola & Ricolfi, siamo di fronte a un'arte «che compiace. Liscia il pelo. Non va controvento. Non è più alterità». È insomma «un'arte pedagogica, che dà voce alle idee dominanti per convincere tutti della bontà di quelle idee. Asservita, allineata, ammaestrata. Mai veramente spiazzante,m ai capace di stupire, interrogare, indicare altri orizzonti».

C'è di più. In quanto arte neo-impegnata nel nome del bene, automaticamente è solo lei l'arte giusta, quella che promuove i valori buoni. Chi non la pensa allo stesso modo, non si limita a pensarla diversamente: più semplicemente è il villain, il cattivo, il male. Nessun dialogo è possibile, nessun confronto auspicabile.

Il finale di partita è il bullismo etico.

Commenti