"Ecco il jazz secondo me e mio fratello Michel"

L'intervista a Louis Petrucciani. Esce "Flashback", l'album postumo in duo che rilegge i classici

"Ecco il jazz secondo me e mio fratello Michel"

Intrappolato in quel corpicino malato, Michel Petrucciani, abbarbicato al suo pianoforte, dispensava piccoli capolavori armonico-melodici imponendosi come uno dei migliori pianisti jazz di sempre. Il suo incomparabile lirismo risorge nell'inatteso album Flashback, in cui rilegge alcuni classici del jazz - da In a Sentimental Mood di Ellington a Giant Steps di Coltrane al suo Mike P Blues - insieme al fratello-contrabbassista Louis, che ci ha raccontato quelle registrazioni e il loro rapporto artistico e umano.

Cosa significa per lei questo disco?
«Rappresenta il ricordo della nostra passione comune, la nostra sensibilità nel rivivere i classici del jazz e attraverso quelli raccontare la nostra storia».

Quando e come è stato inciso?
«Nel 1989-90 durante una tournée partita dal centro per portatori di handicap di Lorient».

Come avete scelto il repertorio?
«Sulla base delle nostre emozioni, e il risultato è stato commovente, soprattutto in brani come Giant Steps e Stella By Starlight».

Esistono altre registrazioni insieme?
«Sì, in trio col batterista Roy Haynes, poi con Lenny White e in quartetto con Claude Nougaro. Cercheremo di pubblicarle in futuro».

Che rapporto aveva con suo fratello?
«Passavamo tutto il nostro tempo insieme. Io gli ho insegnato a leggere e a scrivere perché non poteva andare a scuola. Abbiamo cominciato a studiare musica da bambini; due professori venivano a casa, uno insegnava a lui il piano, l'altro a me il contrabbasso. Naturalmente imparavamo musica classica. A un certo punto lui entrò in depressione per il suo handicap ma io lo incoraggiai, lo spinsi a studiare di più e allora la musica divenne il nostro inseparabile collante. Poi nostro papà, chitarrista, formò il trio di famiglia e da lì cominciò tutto».

Quali sono i musicisti che l'hanno maggiormente influenzata?
«Tra i contrabbassisti il mio mito è Charlie Mingus; poi ho imparato molto da pianisti come Duke Ellington, Count Basie, Erroll Garner, Bill Evans e dalla chitarra di Wes Montgomery. Ma non posso dimenticare le mie radici classiche e compositori come Beethoven, Mozart, Vivaldi».

Ha dei nuovi progetti?
«Continuo a lavorare con varie formazioni jazz e a incidere dischi.

In questo momento sto lavorando a un duo contrabbasso e voce, rileggendo pezzi miei e soprattutto di Michel, per continuare in qualche modo la sua opera».

Come vede il jazz oggi?
«È meno in voga che in passato, ma resta una musica universale che, grazie all'improvvisazione, è aperta a tutti gli orizzonti e a tutti i Paesi».

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