Ecco L'Aquila ricostruita, non nelle case, ma nei cuori

In onda dal 16 aprile su Raiuno "Grandi speranze", la fiction sul dopo-terremoto diretta da Marco Risi

Ecco L'Aquila ricostruita, non nelle case, ma nei cuori

L'Aquila. Terremotosto. Dice così lo slogan della resilienza. E L'Aquila viene salvata dai ragazzini che corrono in bicicletta lungo la crepa del sisma, nel centro storico ridotto in macerie. Oppure affrontano il primo giorno di scuola, tra i ponteggi sotto al Sasso, lanciandosi i cancellini come sempre accade quando, a ottobre, riaprono i battenti: in allegria. Nelle casette della «new town», intanto, i loro genitori e i nonni si disperano, piangono e cercano i dispersi. Ma occhioni e lucciconi, nella città che ormai è tutta un cantiere e dove sul muro qualche abruzzese di senso pratico scrive: «Svendo puntelli», la vita va avanti. A dispetto di quel maligno sortilegio che, il 6 aprile 2009, ha spento voci e sorrisi nel capoluogo abruzzese, il cui nome è inno alla fertilità: L'Aquila viene dal latino «Aqua», perché da queste parti l'acqua fu sempre abbondante. A dieci anni dal terremoto, dunque, mentre la memoria dei fatti si scolora, ecco L'Aquila. Grandi speranze, fiction ambiziosa diretta da Marco Risi e interpretata da Donatella Finocchiaro, Giorgio Tirabassi, Giorgio Marchesi e Valentina Lodovini, con Luca Barbareschi nel ruolo del cinico imprenditore venuto da Roma a ricostruire, sì, ma ad arricchirsi anche.

Girato a ciglio asciutto da Risi, che guarda a Roma, città aperta di Rossellini e ai romanzi di formazione come I ragazzi della via Pàl e La guerra dei bottoni, questo lungo film per il piccolo schermo, sei puntate in onda su Raiuno dal 16, ha il compito di tenere accesa la fiaccola. E la speranza, appunto. «Non conoscevo la città, dove sono venuto un anno e mezzo dopo il terremoto. Sentivo solamente l'eco dei miei passi. Col cinismo della gente di cinema, mi dissi: "Che set stupendo!". Non pensavo che, molti anni dopo, sarei tornato qui. A raccontare gli adulti con i loro guai, da una parte, e i loro figli che vivono di riflesso gli stessi guai. Eppure si gettano nell'avventura di crescere in una situazione assolutamente unica», spiega il cineasta.

Alla testa d'una turbolenta processione di giornalisti e cameramen, tanto che certi operai, a Santa Giusta chiedono: «Che manifestazione è?», il regista passa in rassegna i luoghi della narrazione. Una via crucis quaresimale, tra Piazza Duomo deserta e Vico del Drago imbracato nei ponteggi. E nelle testimonianze dei protagonisti, gente del popolo «provinata» tra scuole di recitazione e paesini diroccati, Risi ha fatto la sua pesca miracolosa. In particolare, gli è rimasta impressa Nunziatina, 86enne di Onna. «Parlando di quella notte, questa donna che ha perso le sue due figlie, mi ha detto: "Ho visto la parete della mia camera da letto, sfogliarsi come le pagine d'un libro". Aggiungendo che, dopo otto ore sotto le macerie, aveva fatto in tempo a diventare amica della morte», dice Risi. Il quale non sperava che la Rai lo lasciasse totalmente libero di creare. E invece ha potuto ricostruire, sul set, il Palazzo del Governo, laddove l'antico Palazzo Centi, con i suoi ricchi interni, è in via di ristrutturazione. Qui le bande dei ragazzini, i piccoli ingenui contro i grandi smagati, si fronteggiano per fiction con il tipico spirito ribelle dell'adolescenza. «Una storia forte, con gli adolescenti in età di passaggio, che raccontano il dolore attraverso i loro occhi. La realtà doveva essere restituita nella sua multiforme sfaccettatura», afferma Eleonora Andreatta, a capo di Rai Fiction. E dagli adolescenti di L'Aquila arriva un notevole spunto narrativo, usato in fase di scrittura. C'è infatti chi riporta come, nella fatidica sera del terremoto, il padre abbia cercato, nella fretta di scappare alla furia delle scosse, d'infilargli le scarpe al contrario. Cioè con la punta al posto del calcagno. Perché il sisma è stato ed è anche questo: una miniera di racconti ed emozioni, pronti a tornare alla luce. Chi dimentica, muore. E L'Aquila deve vivere. Intanto, sotto un cielo di latte, la città sembra ancora immota. Pareti di case sventrate, i vestiti appesi alla gruccia citano una vita inesistente. La «zona rossa», liberata dai detriti per mano degli aquilani, stanchi di promesse governative non mantenute, parla ancora la lingua del silenzio. È qui che si ambienta la «manifestazione delle carriole», in una delle scene più forti della fiction.

«Torneremo tutti a vivere in centro», scandisce la casalinga-artigiana, interpretata dalla Lodovini.

Per ora, il ripopolamento resta un sogno. Anche se 23mila pratiche di ricostruzione sono state evase (ne mancano 1000). Anche se il Paese ha messo a disposizione 18 miliardi di euro, la strada è lunga. Ma le speranze, grandi.

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