Cultura e Spettacoli

Ecco santi e peccatori della «Commedia» italiana

Nel libro di Cazzullo, Dante è l'alfiere della bellezza creata nel Paese delle tante rinascite e divisioni

Ecco santi e peccatori della «Commedia» italiana

Se non fosse stato per questo imprevedibile libro di Aldo Cazzullo sulla Divina Commedia (A Riveder le Stelle Dante il poeta che inventò l'Italia, Mondadori, pagg. 240, euro 18) non avrei saputo di aver condiviso nientemeno che col Petrarca il mio infelice approccio con la Commedia di Dante e di non aver mai goduto questo minaccioso capolavoro mondiale, specialmente dopo il servizio militare dantesco sui banchi del liceo. E se l'avessi avuto per le mani a suo tempo, le cose sarebbero forse andate diversamente. Una volta fuori dalla scuola, gli italiani anche in questo si dividono in due: chi adora Dante, citandolo spietatamente, e chi lo evita come un brutto sogno. Aldo Cazzullo, suppongo, ha scritto questo bellissimo e godibile saggio per quelli come me. Di nuovo, ho invidiato la sperticata italianità di un giornalista-scrittore fra i migliori provando la sazia soddisfazione che soltanto un buon thriller poliziesco potrebbe dare. Adesso mi è chiaro movente e retroscena della Commedia, svelata in ogni segreto, rebus, riferimento e retroscena occulto. Poi mi sono divertito a rileggerlo per storie strane, incidentali sbieche e in controluce che questo straordinario libro svela, mescolando i generi, mescolando cantanti poeti come Lucio Dalla e l'astrattista russo americano Mark Rothko in un infernetto personale di nuovi mostri.

Il rischio di una tale guida ben spiegata poteva essere la pedanteria o quella del manuale d'appoggio per studenti cretini, e invece l'autore ha ricostruito il viaggio in Italia, la storia della coscienza e dell'arte, e un'aneddotica che ti prende a tradimento, come la rievocazione del più famoso sex machine di Romagna «morto sul lavoro in macchina con una ventenne romana» lasciando vedove tre generazioni di turiste tedesche. Come rievocazione vale tanto quanto quella di Tiresia di cui sapevo solo che era uno dei tanti ciechi vaganti e rompiscatole che profetavano nel mondo antico ma ignoravo del tutto che fosse stato l'unico uomo ad essere stato anche donna e poter dunque discutere con gli dèi sul problema più ferocemente irrisolto: godono di più gli uomini o le donne a fare l'amore? Tiresia, che le aveva provate tutte e due, dette la palma dell'orgasmo alle donne, facendo però perdere la scommessa al dio di riferimento il quale, vendicativo, lo accecò.

L'Italia dantesca è una collezione geniale ed ossessiva di episodi mostruosi e strazianti, in cui tutti prima o poi svengono Dante per primo che chiede, si fa illuminare, oscurare, raccoglie sul suo block notes liste di condanne per lo più irragionevoli perché anche la giustizia divina appare più ottusa che inflessibile, sbattendo all'inferno chi nemmeno volendo avrebbe potuto diventare cristiano perché non ne ebbe l'occasione.

Ma ciò che in un certo senso mi commuove dell'opera di Cazzullo che ha scritto una grande quantità di saggi e venduto più d'un milione di copie - è l'indomito patriottismo di un autore che ha l'età dei miei figli e che si cala nella storia d'Italia ricostruita come se davvero un lungo filo rosso collegasse le pezze del patchwork fatto di uomini e architetture, minotauri, assassini filosofi e avvelenatori, non soltanto dell'inferno di Dante. Secondo l'autore, questo filo rosso è la bellezza. La bellezza di tutto ciò che in Italia è stato creato dai suoi abitanti con troppa fretta detti italiani. In fondo, Dante parlava sempre dell'Italia come di un'entità estetica e astratta ma se doveva parlare di politica, il suo ideale era l'impero, con un papa ridimensionato in Vaticano per dedicarsi soltanto a faccende spirituali, come poi è accaduto dopo Porta Pia.

Dante era tolemaico e forse per questo non lo digerivo. Non proprio un terrapiattista, ma avrebbe messo all'inferno Galileo per aver distrutto i cerchi antichi e provati del sole e l'altre stelle. La Commedia è anche un Teatro della memoria nei cui interstizi devi esercitarti come un detective per capire se questa famosa Beatrice fosse vera o finta come una Barbie; e se fra lei e Dante fosse accaduto quel che doveva accadere. Cazzullo titola il suo affascinante lavoro definendo Dante «il poeta che inventò l'Italia». Anche qui credo che lo spirito piemontese di Cazzullo giochi un ruolo patriottico. Da noi, Alessandro Manzoni per scrivere il suo romanzo scelse di andare a «sciacquarsi i panni in Arno», ovvero modificare la lingua lombarda adottando il fiorentino proprio perché Dante aveva cinto il primo premio nella corsa a «vero italiano come lingua autonoma» cui partecipava anche lo sfortunato gruppo di intellettuali creativi radunati alla corte siciliana di un Re venuto dai ghiacci come Federico, che inventavano ciascuno il proprio italiano elitario. Dante, come Shakespeare vinse portando in trionfo la parlata popolare a portata di tutti e su quella si tentò di costruire la lingua unitaria che mai come oggi si può considerare persa, degradata, priva di risorse interne.

Va riconosciuto a Cazzullo il merito testardamente patriottico di ricucire tutte le rinascite italiane dopo ciascuna Caporetto, invitando a smetterla con la lagna e camminare a schiena dritta, «Vaste programme» avrebbe detto De Gaulle.

Ma per disgrazia o per fortuna, noi non abbiamo un De Gaulle e l'Italia marcia come può, ma questo saggio dantesco è anche un manuale di ginnastica posturale su come tornare ed essere italiani.

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